2025 07 02 Il PAPA e “l’ecumenismo del sangue”
Il PAPA e “l’ecumenismo del sangue” APPROFONDIMENTONIGERIA - Demolito il parco commemorativo delle 41 vittime della strage nella chiesa di Owo
MOZAMBICO - religiosi derubati, tenuti sotto tiro e minacciati di decapitazione
TESTIMONIANZA CONGO RD - I bambini vittime mute della guerra: testimonianza da Bukavu
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Papa Leone XIV nell’Angelus di Domenica 29 giugno richiama il martirio degli Apostoli Pietro e Paolo e i martiri di oggi. Il Testo
PAPA LEONE XIV – ANGELUS - Domenica, 29 giugno 2025
Oggi è la grande festa della Chiesa di Roma, generata dalla testimonianza degli Apostoli Pietro e Paolo e fecondata dal loro sangue e da quello di molti altri martiri. Anche ai nostri giorni, in tutto il mondo, vi sono cristiani che il Vangelo rende generosi e audaci persino a prezzo della vita. Esiste così un ecumenismo del sangue, una invisibile e profonda unità fra le Chiese cristiane, che pure non vivono ancora tra loro la comunione piena e visibile. Voglio pertanto confermare in questa festa solenne che il mio servizio episcopale è servizio all’unità e che la Chiesa di Roma è impegnata dal sangue dei Santi Pietro e Paolo a servire la comunione tra tutte le Chiese.
La pietra, da cui Pietro riceve anche il proprio nome, è Cristo. Una pietra scartata dagli uomini e che Dio ha reso pietra angolare (cfr Mt 21,42). Questa Piazza e le Basiliche Papali di San Pietro e di San Paolo ci raccontano come quel rovesciamento continui sempre. Esse si trovano ai margini della città antica, “fuori le mura”, come si dice fino ad oggi. Ciò che a noi appare grande e glorioso è stato prima scartato ed espulso, perché in contrasto con la mentalità mondana. Chi segue Gesù si trova a camminare sulla via delle Beatitudini, dove la povertà di spirito, la mitezza, la misericordia, la fame e la sete di giustizia, l’operare per la pace trovano opposizione e anche persecuzione. Eppure, la gloria di Dio brilla nei suoi amici e lungo il cammino li plasma, di conversione in conversione.
Cari fratelli e sorelle, sulle tombe degli Apostoli, meta millenaria di pellegrinaggio, anche noi scopriamo che possiamo vivere di conversione in conversione. Il Nuovo Testamento non nasconde gli errori, le contraddizioni, i peccati di quelli che veneriamo come i più grandi Apostoli. La loro grandezza, infatti, è stata modellata dal perdono. Il Risorto, più di una volta, è andato a prenderli per rimetterli sul suo cammino. Gesù non chiama mai una volta sola. È per questo che tutti possiamo sempre sperare, come ci ricorda anche il Giubileo.
L’unità nella Chiesa e fra le Chiese, sorelle e fratelli, si nutre di perdono e di reciproca fiducia. A cominciare dalle nostre famiglie e dalle nostre comunità. Se infatti Gesù si fida di noi, anche noi possiamo fidarci gli uni degli altri, nel suo Nome.
Gli Apostoli Pietro e Paolo, insieme con la Vergine Maria, intercedano per noi, affinché in questo mondo lacerato la Chiesa sia casa e scuola di comunione.
Il Papa porta certamente nel cuore tutti i cristiani perseguitati.
Fa impressione la gravità di due vicende di giugno, in Siria e Nigeria, di cui abbiamo parlato nelle due settimane precedenti. Fa impressione come tali notizie siano state “dimenticate” immediatamente.
Gli ultimi “aggiornamenti”:
SIRIA – strage alla cattedrale greco ortodossa di Mar Elias (22 giugno)
Damasco: a sant’Elia il giorno dopo dei ‘martiri’ cristiani
di Fady Noun
Oggi pomeriggio i funerali delle vittime della strage presiedute dal patriarca greco-ortodosso Giovanni X Yazigi. La comunità cristiana ancora sotto shock, intere famiglie decimate. Le autorità siriane hanno arrestato sei persone collegate all’attacco e promettono giustizia. Ma resta il clima di sfiducia e sale il desiderio di fuga in un “vuoto della sicurezza”.
La comunità cristiana in Siria si prepara alle esequie, in programma oggi pomeriggio, delle vittime della strage alla cattedrale greco ortodossa di Mar Elias del 22 giugno per mano di un attentatore suicida (…) Una carneficina che è costata la vita ad almeno 30 fedeli e quasi 90 i feriti, decine dei quali in maniera grave e ricoverati negli ospedali secondo un bilancio aggiornato.
Secondo le ricostruzioni pubblicate in queste ore, le vittime sono state colpite dai proiettili e dagli esplosivi di uno o due miliziani jihadisti, identificati dal ministero siriano degli Interni siriano come membri del gruppo Stato Islamico (Isis), il solo ritenuto capace di atti così estremi. Reagendo rapidamente all’attentato, le autorità siriane hanno annunciato ieri di aver arrestato sei persone “coinvolte” nell’attacco, come emerge da un dispaccio diffuso dall’Afp a Damasco. Secondo la stessa fonte, altri due miliziani “coinvolti” sono stati uccisi. L’annuncio relativo ai fermi è giunto a poche ore di distanza dalla dichiarazione ufficiale del presidente siriano ad interim Ahmad al-Sharaa, che ha promesso di consegnare alla giustizia le persone collegate a qualunque titolo alla strage, che ha definito “odiosa”. (…)
Tuttavia, vi sono altri elementi che farebbero pensare a una matrice diversa: il gruppo Saraya Ansar al-Sunna, formato da fuoriusciti di Hts, ha rivendicato ufficialmente l’attacco e nega che vi siano stati degli arresti fra i responsabili della strage. Pur non essendo alleato all’Isis, il movimento ne condivide l’ideologia e ritiene i cristiani obiettivo legittimo per le loro “azioni provocatorie”. Inoltre circa un mese fa, secondo un video circolato ieri, alcuni jihadisti filo-Stato islamico si sono presentati con un’auto dotata di altoparlanti per predicare la conversione all’islam nel cortile della chiesa di Saint-Georges. Sono stati respinti dagli uomini di questo quartiere popolare, in prevalenza cristiano. Dopo gli attacchi contro gli alawiti a marzo e i drusi ad aprile, quello di domenica 22 giugno potrebbe essere, per molti cristiani siriani, il colpo finale alla loro presenza in Siria; il punto di rottura, che segna la fine del periodo di prova concesso al regime islamista che ha rovesciato la dittatura di Bashar al-Assad. “Mio Signore, questa terra è diventata inabitabile. Puoi trovare un Paese dove non ci sentiamo in pericolo ogni giorno?” è l’appello che i vescovi greco-ortodossi sentono sempre più spesso dalle bocche di fedeli stufi. Questo non impedisce ai cristiani di ripetere che il loro diritto al suolo siriano è precedente all’arrivo dell’islam nel VII secolo e che sono i discendenti di san Paolo, convertito “sulla via di Damasco”. (…)
Per Vincent Gélot, direttore di Œuvre d’Orient in Libano e Siria, questo attacco è “estremamente grave”. “Questo nuovo attacco lascerà il segno nella comunità cristiana” ha proseguito, perché “fa rivivere i dolori del passato, in particolare l’attacco alla cattedrale siro-cattolica di Baghdad del 31 ottobre 2010”. Vincent Gélot ha parlato del clima di insicurezza “che sta soffocando le minoranze cristiane, sempre più isolate, disarmate e vulnerabili”. Dall’inizio del conflitto siriano nel 2011, la popolazione cristiana si è ridotta del 70%. Alcuni stimano che in Siria siano rimasti solo 300mila cristiani. “Dalla caduta del regime, vi è stato un enorme vuoto di sicurezza. E i cristiani, che non hanno milizie, sono un bersaglio facile” conclude l’esperto e attivista, auspicando che il giro di vite annunciato dal ministero siriano degli Interni possa contribuire a placare animi in subbuglio. (Asia News 24 06 2025)
NIGERIA – più di 200 cristiani letteralmente massacrati (13 giugno)
Quel che resta dei cristiani bruciati vivi: un mucchio di ossa
L’inchiesta da non dormirci la notte sulla mattanza di duecento cristiani al grido di “Allahu Akbar”:”queste immagini non le vedrete sui media”
Di Giulio Meotti
“Era una notte di piogge a Yelwata, una città nella Nigeria centrale. Venerdì 13 giugno, oltre 500 cristiani, molti dei quali donne e bambini, si sono riuniti in rifugi temporanei nella piazza del mercato della città. Molti di loro erano fuggiti dalle loro case in tutta la regione, sperando di trovare maggiore protezione a Yelwata da una serie di attacchi in cui terroristi islamisti hanno massacrato cristiani. Nelle prime ore della giornata, i vigilantes armati della città e alcuni poliziotti erano partiti per indagare su segnalazioni di attività terroristiche nelle vicinanze. Ma questo si è rivelato un diversivo, secondo Steven Kefas, un giornalista nigeriano. Intorno alle 22:30, mi ha raccontato, una ‘squadra assassina’ di islamisti si è scagliata sulla città con un massacro durato tre ore. Il parroco locale e i cristiani sfollati che si trovavano nella canonica con lui, quando hanno sentito grida di ‘Allahu Akbar’, spari e urla si sono gettati immediatamente a terra, temendo per la propria vita, secondo John Pontifex, responsabile stampa e affari pubblici di Aiuto alla Chiesa che Soffre Regno Unito, che ha parlato con padre Jonathan il giorno dopo l’attacco. I jihadisti hanno fatto irruzione in case e rifugi, uccidendo le persone con i machete. ‘Li tagliavano come se stessero tagliando una mucca o un animale da mangiare’, ha detto Kefas, che ha visitato Yelwata e intervistato 30 sopravvissuti la settimana successiva al massacro. I terroristi hanno poi cosparso i corpi e le case delle vittime di benzina e li hanno dati alle fiamme. ‘È una questione psicologica’, ha detto Kefas. «Potrebbero semplicemente sparare alla gente e andare avanti. Quindi credo che arrivare a massacrare in questo modo queste persone significa mandare un messaggio ai sopravvissuti: ‘Ehi, guardate cosa abbiamo fatto a queste persone. Questo è quello che faremo a voi se non lasciate la vostra terra’. Al momento in cui scrivo, il bilancio delle vittime è di 218, ma potrebbe continuare a salire man mano che i sopravvissuti continuano a morire per le ferite. Molti corpi sono stati bruciati in modo irriconoscibile”.
Si apre così un’impressionante inchiesta della Free Press a firma Madeleine Kearns. Era da un po’ che non leggevo una storia simile. Purtroppo non leggeremo mai un reportage simile sulla stampa italiana.
Le fotografie delle conseguenze della strage, condivise con la Free Press, mostrano resti umani carbonizzati e pavimenti e muri degli edifici macchiati di sangue.
“Tra le immagini più inquietanti che abbiamo esaminatore, si vedono i corpi di cristiani uccisi a colpi di machete: il cadavere di un bambino di 6 o 7 anni giaceva supino, con gli occhi spalancati e la camicia coperta di sangue. Il suo assassino gli aveva lasciato un enorme squarcio sul volto e sulla testa. La sua mano sinistra penzolava dal polso; la destra era completamente mozzata. L’attacco, sebbene eccezionale per portata e barbarie, fa parte di un modello di persecuzione che i cristiani in Nigeria si aspettano”.
Ad aprile, nel periodo che precedeva la Pasqua, 170 cristiani furono uccisi nelle contee di Ukum e Logo. Il 24 maggio, almeno 10 cristiani furono uccisi a colpi d’arma da fuoco nei villaggi di Tse-Ubiam e Tyolaha. Nei giorni successivi, i terroristi uccisero decine di altri cristiani come Aondona e Ahume, per poi tornare a uccidere i sopravvissuti. Il bilancio totale stimato delle vittime cristiane è di oltre 70, secondo Ryan Brown, CEO di Open Doors, un’organizzazione benefica con sede negli Stati Uniti che si batte per i cristiani perseguitati.
Un tempo Yelwata era considerato relativamente sicuro. Secondo Pontifex, circa il 95 per cento della sua popolazione è cristiana e la città è vicina alla strada principale che porta ad Abuja, la capitale della Nigeria, il che significa che la presenza della polizia è maggiore rispetto alle zone remote. Ma questi recenti attacchi hanno infranto la speranza che i cristiani possano vivere in pace nella zona. (30 giugno 2025)
ALTRE NOTIZIE
NIGERIA - Demolito il parco commemorativo delle 41 vittime della strage nella chiesa di Owo
“La diocesi cattolica di Ondo condanna inequivocabilmente e ritiene inaccettabile l’improvvisa e inaspettata demolizione del Memorial Park di Owo”. Così Mons. Jude Ayodeji Arogundade, Vescovo di Ondo, in una dichiarazione pubblicata il 25 giugno, lamenta la decisione del Governatore dello Stato di Ondo, Lucky Aiyedatiwa di demolire il parco della memoria eretto per ricordare le vittime dell’attentato nella chiesa di San Francesco di Owo, avvenuto domenica 5 giugno 2022 (vedi Fides 6/6/2022). Un gruppo armato assalì il luogo di culto sparando in maniera indiscriminata contro i fedeli che celebravano la messa domenicale.
Secondo Mons. Arogundade la demolizione è una “violazione del nostro comune rispetto per la dignità della vita e del ricordo che condividiamo dei nostri 41 fratelli e sorelle ingiustamente uccisi”.
“Il Memorial Park è stato istituito dal governo statale come spazio neutrale e comunitario per la memoria, la riflessione e la guarigione collettiva dopo l’attacco terroristico del 5 giugno 2022” ricorda il Vescovo.
Il parco commemorativo è stato costruito dall’amministrazione del precedente governatore di Ondo, Arakunrin Oluwarotimi Akeredolu. La costruzione del parco è iniziata a marzo 2023 ed è stata completata entro giugno 2023. Durante questo periodo, non sono state sollevate obiezioni o proteste da nessuno. “Il sito è stato legittimamente acquisito e sviluppato dal governo statale e iniziato designato come parco commemorativo per onorare le vittime. È stato commissionato dal governo statale e benedetto dalla Chiesa” sottolinea il Vescovo di Ondo.
Mons. Arogundade sottolinea infine che “Non appena abbiamo saputo della demolizione, la Diocesi ha scritto una lettera a Sua Eccellenza il Governatore dello Stato di Ondo, chiedendo un’udienza ufficiale per comprendere le ragioni dell’abbattimento del Memorial Park. Al momento della presente dichiarazione sono trascorse oltre 72 ore e non è stata ricevuta alcuna risposta dall’ufficio del Governatore”. (LM)
(Agenzia Fides 26/6/2025)
MOZAMBICO - religiosi derubati, tenuti sotto tiro e minacciati di decapitazione
Le Suore Mercedarie sono la seconda congregazione a subire una rapina a mano armata nel giro di pochi giorni, mentre la violenza nel nord del Mozambico continua a peggiorare.
Le Suore Mercedarie del Santissimo Sacramento, nella diocesi di Pemba, in Mozambico, hanno vissuto un’esperienza quasi mortale l’8 giugno, quando la casa da loro gestita è stata scassinata da un gruppo di uomini armati di pistole e machete.
Le quattro sorelle, che si prendono cura di circa 30 bambine, sono state derubate di tutti i loro oggetti di valore e addirittura minacciate di decapitazione.
In un messaggio ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), suor Ofélia Robledo Alvarado ha descritto il terrore provato durante l’irruzione. “Un gruppo di 18 uomini è entrato nella nostra missione, armati di machete, sbarre di ferro e armi. Otto uomini sono entrati in casa, mentre gli altri sono rimasti fuori, controllando i cancelli e immobilizzando le guardie. Eravamo terrorizzati quando li abbiamo visti entrare nelle nostre stanze, chiedendo soldi e prendendo tutto ciò che riuscivano a trovare. Ci hanno rubato computer, cellulari e i pochi soldi che avevamo”.
Il peggio, tuttavia, doveva ancora venire, quando i criminali radunarono le suore nella loro cappella e le costrinsero a inginocchiarsi. “Pensavamo che avrebbero dato fuoco alla cappella con noi dentro, ma invece fecero inginocchiare suor Esperanza al centro della cappella e alzarono un machete per decapitarla davanti a noi. Li implorai di non ucciderla, ci avevano già preso tutto, implorai pietà. Furono momenti terribili, ma grazie a Dio, la liberarono”, spiega suor Ofélia.
Mentre gli uomini armati lasciavano la struttura, le suore si sono messe alla ricerca delle loro pupille, terrorizzate all’idea che potessero essere state aggredite o molestate in qualche modo. “Grazie a Dio, le abbiamo trovate tranquille e indisturbate. Era la prima volta in 17 anni che la nostra missione veniva attaccata, nessuno era mai entrato in casa nostra con cattive intenzioni”, dice Suor Ofélia. “Ma l’ondata di terrorismo iniziata nel 2017 ha cambiato tutto, viviamo una situazione di insicurezza in tutta la provincia di Cabo Delgado, e la cosa triste è che sembra che persino la polizia e l’esercito siano coinvolti in queste bande di criminalità organizzata, quindi dobbiamo prendere misure per proteggere noi stesse e le ragazze”.
La rapina alla casa dei Mercedari è stata la seconda delle ultime settimane. Solo pochi giorni prima, anche i Padri Saletti di Mieze erano stati derubati da uomini armati di machete, che avevano aggredito di notte. Fortunatamente, nessuno dei religiosi è rimasto ferito.
La provincia di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico, è afflitta da un’insurrezione jihadista dal 2017. I recenti attacchi alle missioni Mercedaria e La Salette non sono stati perpetrati da insorti islamisti. Tuttavia, il crollo generale della sicurezza – causato in gran parte dall’insurrezione – ha contribuito a un aumento della violenza armata che ha colpito l’intera provincia di Cabo Delgado. Inoltre, la grave povertà e la mancanza di risorse, anch’esse conseguenza dell’insurrezione, hanno portato a ondate di furti e rapine.
(ACS International Di Paulo Aido e Maria Lozano 27 giugno 2025)
Ma dove possono i cristiani costruiscono
TESTIMONIANZA
CONGO RD - I bambini vittime mute della guerra: testimonianza da Bukavu
I bambini sono le vittime mute di ogni guerra, a Gaza, in Ucraina, in Sudan, nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Abbiamo ricevuto questa testimonianza da Bukavu, il capoluogo del Sud Kivu, da metà febbraio nelle mani del movimento ribelle M23 (vedi Fides 17/2/2025)). Nonostante i guerriglieri abbiano annunciato l’instaurazione di una amministrazione per gestire i territori da loro conquistati, la situazione nel Sud come nel Nord Kivu rimane precaria, soprattutto per le persone più fragili, a iniziare da donne, bambini e anziani.
Pubblichiamo interamente la testimonianza omettendo per ragioni di sicurezza il nome della persona che ce l’ha trasmessa.
“Sour Charline mi accoglie nel padiglione dell’Ospedale generale di Bukavu dove, con suor Marie-Jeanne, coordina l’accoglienza e la cura dei bambini malnutriti: «Prima della guerra erano in media una quarantena, ora sono ottantaquattro, anche tre per letto», mi dice invitandomi a passare nei cameroni. In uno, una mamma veste la sua bimba di circa otto anni: sta per tornare a casa. È filiforme, ma ha superato la fase critica. La bimba saluta con un sorriso. Nel reparto cure intensive, ci sono i più gravi, tra cui il più piccolo, lasciato in ospedale da una mamma venuta da una zona di combattimento e accudito con cura da un’infermiera.
La guerra ha comportato l’impossibilità di coltivare, di raccogliere, di spostarsi per fare un piccolo commercio e questo, insieme a furti e saccheggi, ha generato la fama. «Quando abbiamo cibo adatto a sufficienza, si può riprendere in due settimane, altrimenti ci vogliono anche due mesi, oppure muoiono. Cerchiamo di mandare a casa i bambini appena possibile, per far posto ad altri, ma a volte le mamme dicono che torneranno a mancare di cibo… Do loro un po’ di farina, non posso fare di più», aggiunge desolata suor Charline.
Passo un saluto Natalina. Nel suo centro “Ek’Abana” accoglie bambine e bambini accusati di stregoneria, ma anche, da quando è iniziata la guerra, bambini che la Croce Rossa le affida in attesa di ritrovarne la famiglia. In tutto sono circa venticinque. «Stanno aumentando i casi di bambine accusate di stregoneria», dice Natalina. Ne sono giunte tre questa settimana. I genitori morti o assenti, le bambine vivevano con i nonni o altri genitori. Lo psicologo spiega: lo stress di questo tempo, il susseguirsi di malattie, morti, perdita di lavoro e altri problemi spinge a cercare risposte nelle “stanze di preghiera”, dove pastori irresponsabili indicano nei più fragili la causa dei mali. La bambina viene accusata, messa ai margini. A volte, ad accompagnarle al Centro per salvarle, sono le comunità di base.
E che dire dello stress dei bambini che sussultano a ogni rumore? Degli aborti generati dal soprassalto dei colpi d’arma da fuoco? Della violenza di cui i bambini sono spettatori da parte di occupanti, di banditi, della popolazione stessa quando esasperata si accanisce sul presunto ladro fino ad ucciderlo? Dell’abbandono scolastico in seguito alla fuga con la famiglia, dell’umiliazione di essere scacciati da scuola perché i genitori non riescono più a pagare le tasse trimestrali? Della penuria di cibo quotidiano?
Mentre rientravo, un bambino m’ha chiesto di poter comprare una frittella, che si vende in strada a poco prezzo. «Con chi vivi?» «Con la nonna.» Vista la crisi, supero la reticenza: «Prendine due, una per la nonna». «Allora compro un po’ di farina», mi ha risposto. Altro che gola. Tutto questo da aggiungere alla conta dei bambini uccisi direttamente da bombe e dalla violenza. Sono le vittime mute, come quelle di Gaza, che pagano il prezzo di un debito che è tutto nostro”. (Agenzia Fides 6/2/2025)