2025 01 01 Missionari e operatori pastorali uccisi nell’anno 2024
NIGERIA - Sacerdote-farmacista ucciso a colpi di pistola in stradaBANGLADESH Incendio doloso nelle case dei cristiani Tripura la notte di Natale
INDIA - Uttar Pradesh: nuovi arresti di cristiani a pochi giorni dal Natale
MYANMAR - Natale in una grotta per i fedeli profughi di Loikaw
TESTIMONIANZA
MYANMAR - Tra paura e sfollamento, un Natale segnato dalla guerra. E i preti vivono con i profughi
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Missionari e operatori pastorali uccisi nell’anno 2024
Come accade oramai da tempo, l’elenco annuale proposto da Fides non include solo i missionari e le missionarie ad gentes in senso stretto, ma considera le definizioni di “missionario” e “missionaria” in un orizzonte più ampio e punta a registrare tutti i cattolici coinvolti in qualche modo nelle opere pastorali e nelle attività ecclesiali che morti in modo violento, anche se non espressamente “in odio alla fede”.
Per questo si preferisce non usare il termine “martiri”, se non nel suo significato etimologico di “testimoni”, per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro attraverso i processi di canonizzazione.
I numeri
Nel 2024, stando ai dati verificati dall’Agenzia Fides, nel mondo sono stati uccisi 13 “missionari” cattolici, (in realtà 14*, vedi notizia seguente) di cui 8 sacerdoti e 5 laici. Anche quest’anno in Africa e in America si registra il numero più alto di operatori pastorali uccisi: cinque in entrambi i continenti. Negli ultimi anni sono l’Africa e l’America ad alternarsi al primo posto di questa tragica classifica.
Nel dettaglio, in Africa sono stati uccisi in tutto 6 uomini (2 in Burkina Faso, 1 in Camerun, 1 nella Repubblica Democratica del Congo e 2 in Sud Africa), 5 in America (1 in Colombia, 1 in Ecuador, 1 in Messico e 1 in Brasile) e due in Europa (1 in Polonia e 1 in Spagna).
Come evidenziano le informazioni, certe e verificate, sulle loro biografie e sulle circostanze della morte, i missionari e gli operatori pastorali uccisi non erano sotto i riflettori per opere o impegni eclatanti, ma operavano dando testimonianza della loro fede nella ordinarietà della vita quotidiana, non solo in contesti segnati dalla violenza e dai conflitti.
Le notizie sulla vita e sulle circostanze in cui è avvenuta la morte violenta di queste persone ci offrono immagini di vita quotidiana, in contesti spesso contrassegnati dalla violenza, dalla miseria, dalla mancanza di giustizia. Si tratta spesso di testimoni e missionari che hanno offerto la propria vita a Cristo fino alla fine, gratuitamente.
Tra gli operatori pastorali uccisi nel 2024 figurano anche Edmond Bahati Monja, coordinatore di Radio Maria/Goma, e Juan Antonio López, coordinatore della pastorale sociale della Diocesi di Truijllo e membro fondatore della pastorale di ecologia integrale in Honduras.
Edmond, che viveva in una zona del Nord Kivu scossa dall’avanzata del gruppo armato M23, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da un gruppo di uomini armati vicino alla sua casa nel distretto di Ndosho, alla periferia di Goma. L’esercito regolare congolese, per accrescere le difese della città, ha stretto alleanze di circostanza con altri gruppi armati ed ha fornito armi anche a alcune milizie denominate Wazalendo (“Patrioti” in Swahili). La presenza di gruppi armati irregolari ha però accresciuto i crimini violenti all’interno di Goma, con rapine e omicidi all’ordine del giorno. Il caso dell’uccisione di Edmond Bahati, coinvolto in inchieste su questioni locali e su questi gruppi armati, è legato anche alla passione con cui conduceva il suo lavoro. In due anni sono almeno una decina gli operatori dei media assassinati a Goma e dintorni. Bahati aveva effettuato inchieste sulle violenze dei gruppi armati nella regione.
Juan Antonio López, invece, era noto per il suo impegno per la giustizia sociale, e attingeva forza e coraggio dalla sua fede cristiana. Il crimine è avvenuto poche ore dopo una conferenza stampa in cui, insieme ad altri leader della comunità, aveva denunciato i presunti legami tra membri dell’amministrazione comunale di Tocoa e la criminalità organizzata. L’omicidio di López si inserisce in un contesto di crescente repressione contro i difensori dei diritti umani in Honduras. Papa Francesco, durante l’Angelus del 22 settembre, ha sottolineato l’importanza di proteggere coloro che difendono la giustizia. “Mi unisco al lutto di quella Chiesa e alla condanna di ogni forma di violenza”, ha detto. “Sono vicino a quanti vedono calpestati i propri diritti elementari e a quelli che si impegnano per il bene comune in risposta al grido dei poveri e della terra”, ha aggiunto il Pontefice, ricordando l’eredità di López come uomo di fede che ha dato la vita per gli altri.
Dal 2000 al 2024 il totale dei missionari e operatori pastorali uccisi è di 608. «Questi fratelli e sorelle possono sembrare dei falliti, ma oggi vediamo che non è così. Adesso come allora, infatti, il seme dei loro sacrifici, che sembra morire, germoglia, porta frutto, perché Dio attraverso di loro continua a operare prodigi, a cambiare i cuori e a salvare gli uomini» (Papa Francesco, 26 dicembre 2023, festa liturgica di Santo Stefano protomartire). (Dossier a cura di Fabio Beretta Agenzia Fides, 30/12/2024)
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Missionari e Operatori Pastorali uccisi - Report 2024 -https://www.fides.org/it/attachments/view/file/Dossier_Operatori_pastorali_uccisi_2024_DEFINITIVO.pdf
NIGERIA - Sacerdote-farmacista ucciso a colpi di pistola in strada
Il tempo di Natale per la comunità cattolica nella Diocesi nigeriana di Nnewi viene segnato dall’assassinio di un sacerdote cattolico, ucciso a colpi di arma da fuoco mentre era in strada.
I fatti risalgono alla sera del 26 dicembre, festa liturgica di Santo Stefano primo martire, ma solo nelle ultime ore la Diocesi ha reso noto, con un comunicato ufficiale, quanto accaduto.
Il sacerdote, padre Tobias Chukwujekwu Okonkwo, “è stato raggiunto da un gruppo di persone non identificate mentre percorreva la Onitsha-Owerri Expressway, a Ihiala (nel sud-est della Nigeria, ndr.). Questi lo hanno freddato con diversi colpi di pistola tra le 19 e le 20”.
Il sacerdote ucciso, precisano dalla Diocesi, era un farmacista e dirigeva diverse strutture sanitarie locali, come scuole di infermieristica, ostetricia e il laboratorio medico presso l’Ospedale Nostra Signora di Lourdes di Ihiala. E mentre la Diocesi nel comunicato chiede a tutti “preghiere e Messe” per l’anima di padre Tobias, le forze di polizia stanno indagando sulla vicenda per capire i motivi dell’omicidio.
L’uccisione di di padre Tobias si aggiunge a quelle segnalate nel report appena pubblicato dall’Agenzia Fides sui missionari e gli operatori pastorali assassinati nel 2024.
*Con l’omicidio di padre Tobias, gli operatori pastorali e i missionari uccisi nell’anno che si chiude oggi risultano essere 14. Il totale di sacerdoti ammazzati negli ultimi 365 giorni aumenta di un’unità, da 8 a 9. In Africa diventano in tutto 7 i “missionari” uccisi: 2 in Burkina Faso, 1 in Camerun, 1 nella Repubblica Democratica del Congo, 2 in Sud Africa e 1 in Nigeria. (F.B.) (Agenzia Fides 31/12/2024)
BANGLADESH Incendio doloso nelle case dei cristiani Tripura la notte di Natale
L’attacco in un insediamento dell’area di Bandarban, nel Bangladesh sud-orientale, mentre gli abitanti erano andati alla celebrazione natalizia in una chiesa di un villaggio vicino. Nelle scorse settimane erano stati vittima di richieste di estorsione. L’episodio si inserisce in un modello di oppressione di lunga data contro le comunità indigene delle colline nei tre distretti collinari.
Nell’area di Sarai Tangojhiri, nella Lama upazila di Bandarban, nel Bangladesh sud-orientale, nella tarda serata del 24 dicembre un incendio ha avvolto le case di 17 famiglie cristiane di etnia Tripura. Un atto doloso, forse legato alle richieste di estorsione avanzate in precedenza da alcuni malviventi.
Il tragico incidente è avvenuto nel quartiere di Notun Betchhara Tripura, mentre gli abitanti si erano recati per partecipare alle celebrazioni natalizie in una chiesa vicina nella zona di Tangojhiri, dato che il loro quartiere non ha una chiesa propria. Quando sono tornati, hanno scoperto le loro case ridotte in cenere.
L’incendio ha distrutto tutti gli effetti personali, tra cui mobili, pannelli solari, utensili domestici, vestiti e documenti importanti. Le famiglie sfollate sono rimaste senza casa e si sono rifugiate a cielo aperto nei resti carbonizzati del loro quartiere. Gli abitanti del villaggio hanno riferito di aver visto le fiamme intorno all’una di notte, ma non hanno potuto identificare i responsabili, poiché il quartiere era disabitato in quel momento. Delle 18 famiglie che risiedono nell’area, solo una casa è stata risparmiata dalle fiamme, poiché i suoi occupanti erano presenti e in grado di scoraggiare gli aggressori.
I residenti sostengono che questo attacco fa parte di un modello di oppressione di lunga data contro le comunità indigene delle colline nei tre distretti collinari. Gruppi influenti sono spesso coinvolti in questi incidenti, creando un’atmosfera di paura e insicurezza. Le vittime chiedono giustizia e sostegno immediato per ricostruire le loro vite. (…) (di Sumon Corraya, Asia News 28/12/2024)
INDIA - Uttar Pradesh: nuovi arresti di cristiani a pochi giorni dal Natale
Sette protestanti accusati di “conversioni forzate” per una celebrazione in una casa. Il vescovo di Lucknow: “Anche ottenere il rilascio su cauzione è un’impresa difficile. Nel 2024 già segnalati quasi 700 episodi di violenza contro i cristiani”. P. Mathew: “Nel Chattisgarh i cristiani sfrattati dai loro villaggi trascorreranno la notte di Natale senza un tetto”.
Arrestati per aver promosso un incontro di preghiera a pochi giorni dal Natale. Nello Stato indiano dell’Uttar Pradesh, uno di quelli dove è più dura l’applicazione delle leggi anti-conversione volute dai fondamentalisti indù, la polizia di Sitapur ha arrestato sette cristiani di una comunità evangelica dell’area di Sidhauli Kotwali e ha registrato un procedimento contro di loro. Sono stati sequestrati anche un diario di 70 pagine e due telefoni cellulari degli imputati arrestati.
Gli imputati arrestati sono Ashok Kumar (Rae Bareli), Anil Kumar (Lakhimpur), Sunil (Kannauj), Anurag Bharti (Kannauj), Ankit Rawat (Lucknow), Balram (Lakhimpur) e Rampal (Sitapur). L’accusa è la solita: convertire persone povere e indifese, adescandole con lavoro e denaro. E come sempre accade sono stati alcuni membri del Vishwa Hindu Parishad (un’organizzazione nazionalista indù) a denunciare i cristiani sollecitando l’intervento della polizia.
La legge anti-conversione dell’Uttar Pradesh è stata resa più severa con alcuni emendamenti lo scorso 29 luglio. Oggi in questo Stato indiano non solo la parte interessata ma chiunque può presentare denuncia per una presunta “conversione forzata”. Inoltre la pena massima di reclusione è aumentata fino addirittura all’ergastolo, mentre la multa massima è passata da 100mila rupie a 500mila rupie (5600 euro ndr) per i casi che coinvolgono donne, minori o Dalit.
Il vescovo di Lucknow mons. Gerald Mathais commenta ad AsiaNews: “La legge anti-conversione dell’Uttar Pradesh è la più severa del Paese. È strumento per gravi abusi e ogni tanto pastori e fedeli vengono arrestati. Anche ottenere il rilascio su cauzione è un’impresa difficile. La comunità vive nella paura e tenere qualsiasi celebrazione di preghiera nelle case è diventato rischioso. Il diritto fondamentale di professare, predicare e praticare la propria fede, come garantito dalla Costituzione, è gravemente violato: nel 2024 sono stati segnalati più di 673 episodi di violenza e atrocità contro i cristiani”.
P. Anand Mathew IMS, coordinatore del Sanjha Sanskriti Manch, un’alleanza di attivisti con sede a Varanasi, aggiunge ad AsiaNews: “Ogni domenica i pastori delle chiese evangeliche vengono attaccati, maltrattati e arrestati in Uttar Pradesh; non perché abbiano commesso alcun crimine ma perché hanno mostrato coraggio nel pregare con le persone più vulnerabili. Vengono attaccati e arrestati perché sono le persone che lavorano attivamente per il Vangelo. Anche nel Chattisgarh i cristiani vengono sfrattati dai loro villaggi: questo Natale molti di loro trascorreranno le notti senza un tetto. Il tutto mentre il primo ministro organizza una cena per i leader della comunità cristiana, dicendo che in India tutti sono uguali e il Paese è un posto sicuro per i cristiani”. (di Nirmala Carvalho, Asia News 19/12/2024)
MYANMAR - Natale in una grotta per i fedeli profughi di Loikaw
Il Natale di Cristo celebrato in una grotta, nella cavità della montagna, dove i profughi hanno trovato scampo e riparo per fuggire ai bombardamenti: così lo ha celebrato Celso Ba Shwe, Vescovo della diocesi di Loikaw, nell’Est del Myanmar, che ha riunito i suoi fedeli in una Eucarestia in cui l’altare è stato allestito all’interno della grotta.
Si sono dati da fare preti, religiosi e laici, nei giorni precedenti il Natale, per far diventare il ventre della montagna la navata di una chiesa dove accogliere le centinaia di profughi. Sono i rifugiati cattolici della diocesi di Loikaw, che da circa due anni hanno definitivamente abbandonato la città per trovare riparo e sicurezza in zone non interessate dal conflitto: nell’area continuano gli scontri tra l’esercito regolare del Myanmar e le Forze di difesa popolare, ora saldatesi con le milizie etniche, che da decenni combattevano contro il governo centrale birmano, chiedendo maggiore autonomia.
“E vieni in una grotta, al freddo e al gelo”, dice, rivolgendosi al Bambino Gesù, il noto canto popolare “Tu scendi dalle stelle” composto da sant’Alfonso Maria De Liguori nel 1754. I fedeli birmani di Loikaw hanno vissuto nel Natale 2024 la medesima esperienza di quel bimbo infreddolito. E il Vescovo Celso ha detto ai fedeli provati dalla tribolazione: “Non abbiate paura: vi porto un annunzio di gioia, una gioia che oggi sarà condivisa con tutti l popolo. Oggi, nella città di Davide, un Salvatore è nato per voi, Cristo Signore. Apriamo i cuori alla speranza”.
La speranza, tema dell’Anno giubilare, è anche quella di poter tornare nel 2025 nel complesso della cattedrale di Cristo Re a Loikaw, occupata nel novembre 2023 dall’esercito birmano che l’ha trasformato in una base militare.
(PA) (Agenzia Fides 27/12/2025)
TESTIMONIANZA
MYANMAR - Tra paura e sfollamento, un Natale segnato dalla guerra. E i preti vivono con i profughi
Yangon (Agenzia Fides) - “Ci prepariamo al Natale, ci prepariamo all’Anno santo del Giubileo, ma tra i fedeli non c’è quella gioia piena che si vedeva in passato. Le ferite della guerra civile, le sofferenze, i disagi, il lutto lasciano il segno tra la gente del Myanmar”, racconta all’Agenzia Fides padre Bernardino Ne Ne, sacerdote di Loikaw attualmente in servizio a Yangon dove è stato, negli ultimi anni, Direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie. Con l’inizio del 2025 - e con la scadenza del suo mandato - il prete tornerà a Loikaw, nello stato Kayah, nel Myanmar settentrionale, che è una zona conflitto e sfollamento. Dal febbraio del 2021, il colpo di stato della giunta militare ha generato prima un movimento di disobbedienza civile, poi un conflitto civile vero e proprio con la nascita delle Forze di Difesa popolari che, in una seconda fase, si sono unite agli eserciti delle minoranze etniche, formando una coalizione che combatte contro l’esercito regolare del Myanmar.
La situazione vede ora il paese spaccato: da un lato la zona centrale e le città principali come Naypyidaw, Yangon, Mandalay sotto il pieno controllo del regime; dall’altro gli stati periferici e le aree di confine sotto il controllo delle milizie dell’alleanza dei ribelli. Nel mezzo del conflitto, la popolazione civile che soffre soprattutto a causa dello sfollamento: la gente è fuggita da città e villaggi, cercando alloggi di fortuna o riparo nelle foreste o in campi profughi improvvisati. Gli sfollati interni in Myanmar hanno raggiunto la cifra record di oltre tre milioni di persone, costrette ad abbandonare le proprie case. Le regioni di Chin, Magway e Sagaing, nel Myanmar settentrionale, ospitano il numero più elevato di sfollati, pari a quasi 1,5 milioni di persone.
Rimarca padre Ne Ne: “A Yangon, in città, la vita procede quasi normalmente. Anche i nostri fedeli vengono in chiesa e le attività pastorali e di culto vanno avanti, certo sempre a una condizione: che non si parli di politica, che non si delegittimi il potere costituito. Noi lo sappiamo, i fedeli lo sanno, noi preghiamo per la pace e per la giustizia e almeno possiamo celebrare i Sacramenti e svolgere tutte le iniziative spirituali. Così vivremo il Natale: la messa della vigilia sarà alle 5 della sera, non più tardi, perché con il buio si intensificano i pattugliamenti militari, la gente ha paura e non esce più di casa. Siamo comunque in un’atmosfera di conflitto e tensione”, racconta.
La situazione è ben diversa è molto più grave in aree di conflitto aperto come Loikaw, la diocesi dello stato Kayah cui appartiene p. Ne Ne: “In aree come Loikaw, attacchi aerei, scontri armati, distruzione di proprietà civili continuano a causare gravi sofferenze, causando feriti e ulteriori sfollamenti forzati. Costoro vivranno il Natale presi dalla paura di poter essere bombardati di notte. Sappiamo che centinaia di migliaia persone sono fuggite nelle zone rurali e montuose e molti di questi rifugiati sono cattolici. In principio le parrocchie e gli istituti hanno messo a disposizione i loro locali. Ma, poi, con l’intensificarsi dei combattimenti, tutti sono stati costretti alla fuga. Le chiese sono chiuse perchè non ci sono fedeli rimasti nel territorio. Su 39 parrocchie nel territorio della diocesi di Loikaw, ora solo 9 sono in funzione. In una di quelle, dedicata alla Madre di Dio, a Nord di Loikaw, andrò a svolgere il ministero pastorale di parroco”, racconta. Oggi portare avanti quel ministero significa essenzialmente “stare in mezzo agli sfollati, andare a visitare e celebrare con loro nei campi profughi improvvisati dove vivono. Solo nella mia futura parrocchia ce ne sono 15: alcuni con oltre 200 persone, altri insediamenti con 40-50 persone. Oggi essere sacerdote a Loikaw significa condividere la loro sorte, stare in mezzo a loro, essere una presenza di consolazione e speranza”.
È la condizione che vive anche il Vescovo di Loikaw, Celso Ba Shwe, che ha dovuto abbandonare la cattedrale di Cristo Re e l’annesso centro pastorale a Loikaw perchè, a novembre del 2023, l’esercito birmano ne ha preso possesso, trasformandolo in una base militare. “E’ per lui, e per altri sacerdoti che erano lì residenti, il secondo Natale lontano dalla cattedrale. Nei mesi scorsi abbiamo avuto dei colloqui con i militari che, certo, non ci chiederanno spontaneamente di tornare. C’è la possibilità di aprire un negoziato perché lascino il luogo: ma non sarà facile, la situazione è complessa. In primis il terreno interno e nei dintorni potrebbe essere minato. Poi l’interno del centro pastorale è praticamente distrutto, c’è da riorganizzare tutto. Infine, per tornare, dobbiamo avere garanzie che i militari ci lascino libertà di movimento perché il vescovo e i preti hanno necessità di visitare i campi profughi sempre e di recarsi in continuazione dove sono i fedeli. Non possono essere ‘prigionieri’ in cattedrale, non servirebbe a nulla. Ci sono da considerare e sistemare tutti questi aspetti. Preghiamo e speriamo che, con il nuovo anno, possiamo avere questo dono, la restituzione della nostra cattedrale. È una richiesta che mettiamo nelle mani di Dio questo Natale, accanto al dono della pace”.
di Paolo Affatato (Agenzia Fides 19/12/2024)