2024 11 13 ARMENIA, PAKISTAN...

ARMENI – UN ANNO DOPO: “Difendere i diritti del popolo dell’Artsakh”
PAKISTAN - Pakistan, giustizia ‘al contrario’: fermato il padre di 13enne cristiana rapita e convertita
NIGERIA - Liberato il direttore del seminario che si era offerto al posto dei suoi studenti
Rapito un altro sacerdote, don Christian Uchegbu
UGANDA - Incendiata la chiesa di Mapeera Kigungu, sorta nel punto dove erano sbarcati i primi missionari evangelizzatori del Paese
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
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ARMENI – UN ANNO DOPO: “Difendere i diritti del popolo dell’Artsakh”
Appello dei leader della Chiesa armena Aram I, Raphael Bedros XXI e Paul Haydostian, leader della Chiesa armena apostolica, cattolica ed evangelista, firmano una dichiarazione congiunta in cui esprimono preoccupazione e protesta per la crisi tra Armenia e Azerbaigian e l’evacuazione forzata di 120 mila persone.

A pochi giorni dalla Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, la cosiddetta Cop29, che si terrà a Baku, in Azerbaigian, dall’11 al 22 novembre 2024, i leader spirituali della Chiesa armena apostolica, cattolica ed evangelista - rispettivamente Sua Santità Catholicos Aram I, Sua Beatitudine Catholicos-Patriarca Raphaël Bedros XXI, il reverendo Paul Haidostian, presidente dell’Unione delle Chiese Evangeliche Armene nel Vicino Oriente - firmano e diffondono un appello congiunto in cui esprimono “ancora una volta la nostra giusta protesta e preoccupazione per la guerra scatenata dall’Azerbaigian contro gli armeni dell’Artsakh (2020-2023) e di conseguenza, l’evacuazione forzata di 120 mila persone dalla loro patria storica, la distruzione pianificata di edifici e monumenti religiosi e culturali armeni e la detenzione illegale dei leader politici dell’Artsakh”.

“Non possiamo rimanere in silenzio”
Pertanto, in quanto “leader spirituali dediti al servizio di Dio Onnipotente e del nostro popolo”, nonché “impegnati nei principi di giustizia, pace e protezione dei diritti umani”, Aram I, Bedros XXI, Haidostian scrivono di non poter “rimanere in silenzio di fronte alla violazione da parte dell’Azerbaigian dei diritti degli armeni dell’Artsakh e all’indifferenza della comunità internazionale”. Richiamano dunque l’attenzione dei propri rappresentanti spirituali e comunitari su alcune precise azioni.

Ritorno alle proprie terre, sensibilizzazione generale, preghiere speciali
Anzitutto, si legge nel comunicato, “alla vigilia e nel corso della Conferenza internazionale Cop29 a Baku, è di particolare importanza evidenziare la continua ingiustizia contro il popolo armeno dell’Artsakh. Richiedere il loro diritto al ritorno nelle proprie terre ancestrali e a riaffermare la propria sovranità sotto la protezione della comunità internazionale”. I tre leader spirituali chiedono poi di “mobilitare tutte le nostre risorse in difesa dei diritti degli armeni dell’Artsakh attraverso la sensibilizzazione degli ambienti politici, governativi e diplomatici, nonché attraverso le relazioni interreligiose e interecclesiastiche, con l’ampio utilizzo di mezzi pertinenti e informativi”. Infine, terza azione richiesta, quella che “durante le funzioni religiose, si tengano preghiere speciali per la rapida liberazione dei prigionieri dell’Artsakh detenuti dall’Azerbaigian: leader politici, funzionari governativi, personale militare, soldati e sostenitori della causa”.
(Vatican News 04 novembre 2024)

ARMENI – UN ANNO DOPO: La protesta degli armeni dell’Artsakh
Le ong del Nagorno-Karabakh in piazza contro la chiusura del gruppo di Minsk, l’unica istituzione in possesso di un mandato internazionale per il conflitto con l’Azebaigian. A un anno dalla campagna militare di Baku, gli esuli armeni vivono tuttora in condizioni precarie a Erevan o in accampamenti e nelle zone vicine alla frontiera, nella speranza di tornare nella patria nativa.

I rappresentanti delle Ong dell’Artsakh, il Nagorno Karabakh riannesso all’Azerbaigian, hanno organizzato un’azione di protesta presso il palazzo del ministero degli esteri di Erevan, chiedendo alle autorità di non sottostare alla pretesa di Baku di sciogliere il gruppo di Minsk dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, l’unica istituzione in possesso di un mandato internazionale per il conflitto tra Armenia e Azerbaigian.

Artur Grigoryan, uno dei rappresentanti delle associazioni, ispirate dal movimento “Tavowš in nome della patria” dell’arcivescovo Bagrat Galstanyan, ha comunicato di aver consegnato un appello al ministro degli esteri Ararat Mirzoyan, sottoscritto dai membri di oltre 50 gruppi che già a fine settembre avevano presentato analoga richiesta al presidente dell’Osce Ian Borg, il vice-premier di Malta.

Nel documento il “popolo dell’Artsakh” ricorda gli impegni della repubblica dell’Armenia nella difesa del Nagorno Karabakh, in accordo con le norme del diritto sia nazionale, sia internazionale. “L’Azerbaigian pretende sfacciatamente dall’Armenia di firmare una richiesta congiunta di scioglimento del gruppo dell’Osce, ma le autorità di Erevan non devono sottomettersi a questa e altre imposizioni delle autorità di Baku, perché sarebbe umiliante e priverebbe tutti gli armeni dei loro diritti più importanti”, ha affermato Grigoryan, insistendo sul fatto che “la difesa degli interessi dei cittadini dell’Artsakh e dei meccanismi internazionali che li garantiscono, è un aspetto della più importante questione della difesa degli interessi nazionali dell’Armenia”. (…)

Gli appelli dei cittadini armeni, ormai profughi, della regione passata sotto il controllo degli azeri, si sono rinnovati dopo il primo anniversario della conquista bellica del 20 settembre 2023, realizzata con un’azione militare di aggressione estesa all’uso di armi pesanti, artiglieria e aviazione d’assalto. Il 28 settembre l’allora presidente dell’Artsakh, Samvel Šakhramanyan, era stato costretto a sciogliere tutte le istituzioni repubblicane, e dal 1° gennaio 2024 l’Artsakh aveva smesso ufficialmente di esistere.

Il popolo degli armeni della regione occupata è stato costretto a un esodo biblico, di oltre 115 mila persone, recandosi nella patria storica, dove tuttora vivono in gran parte in condizioni precarie, senza mai rinunciare a difendere i propri diritti, ritenendo illegittima l’annessione dell’Artsakh all’Azerbaigian. (…)
Molti profughi hanno trovato una sistemazione pur provvisoria nella capitale e in altre città, ma un numero considerevole vive ancora in accampamenti e nelle zone vicine alla frontiera con l’Azerbaigian, nella speranza di tornare nella patria nativa dell’Artsakh. Una di queste zone è la provincia di Tavowš, da cui la guida della locale eparchia, l’arcivescovo Bagrat, ha guidato il grande movimento popolare di protesta che chiede le dimissioni del ministro Nikol Pašinyan e dell’intero governo, giudicato arrendevole e “traditore”, avendo consegnato senza resistenza l’Artsakh all’Azerbaigian. Lo accusano di essere anche pronto a cedere altri territori, senza difendere l’integrità e l’identità della patria armena.
(di Vladimir Rozanskij 23/10/2024 AsiaNews)

PAKISTAN - Pakistan, giustizia ‘al contrario’: fermato il padre di 13enne cristiana rapita e convertita
A Multan la figlia Roshani Shakeel è stata vittima di un matrimonio forzato lo scorso marzo. Una violazione dei diritti permessa dalla complicità delle autorità locali e dell’imam che ne ha favorito la conversione. La moglie Nazia Bibi ad AsiaNews: “Stanno torturando la nostra famiglia”.

Fermato a Multan per aver chiesto giustizia per sua figlia Roshani Shakeel, 13enne rapita, convertita con la forza all’Islam e data in sposa contro la sua volontà lo scorso marzo. È accaduto il 25 ottobre a Shakeel Masih, trattenuto in custodia cautelate per tre giorni a seguito della decisione del magistrato Farooq Latif. Una giustizia “al contrario” che rappresenta l’ennesimo episodio di violazione dei diritti umani in Pakistan, dove l’appartenenza a minoranze religiose continua a essere un grave fattore di rischio per la sicurezza propria e delle persone più care.

Roshani, ragazza cristiana, è stata portata via dalla sua famiglia il 13 marzo. Le autorità locali, con la complicità di un imam, hanno facilitato la sua conversione, registrandola falsamente come diciottenne e ribattezzandola Zehra Bibi. L’unione forzata è stata schedata come consensuale dai funzionari locali, consegnando di fatto Roshani nelle mani del suo rapitore, Muazzam Mazher. La ragazza è riuscita a fuggire dopo aver sentito il suo rapitore parlare di piani per venderla. Sebbene si sia riunita alla sua famiglia, il trauma della vicenda permane. Sconcerta l’azione della polizia di Multan, che pare prendere di mira il padre, senza perseguire il rapitore. I rapporti indicano che Shakeel Masih ha dovuto subire percosse e coercizioni per rivelare dove si trovava la figlia mentre era ingiustamente detenuto.

Parlando con AsiaNews, Nazia Bibi, moglie di Masih, ha dichiarato: “Mio marito è detenuto da tre giorni, la polizia sta torturando la nostra famiglia, compresi i fratelli di mio marito, e ha presentato false denunce contro di noi. Il motivo è quello di impedirci di alzare la voce per ottenere giustizia per nostra figlia”. È la drammatica condizione di chi appartiene alla minoranza cristiana, oltraggiata anche da quelle autorità che dovrebbe garantire protezione. “La famiglia musulmana si comporta come se Roshani fosse una loro proprietà, la rapiscono continuamente e la polizia collabora con loro. Chiedo umilmente alle istituzioni per i diritti umani di alzare la voce per nostra figlia e la nostra famiglia, siamo poveri e non possiamo combattere con loro”. (…)
(di Shafique Khokhar AsiaNews 28/10/2024)

NIGERIA - Liberato il direttore del seminario che si era offerto al posto dei suoi studenti
Rapito un altro sacerdote, don Christian Uchegbu (e don Emmanuel Azubuike ancora nelle mani dei rapitori)

È libero don Thomas Oyode, il rettore del seminario minore Immaculate Conception Minor Seminary School”, a Agenegabode, nell’area del governo locale di Etsako East dello Stato di Edo, nel sud della Nigeria, sequestrato domenica 27 ottobre.
Dopo 11 giorni di prigionia il sacerdote è stato liberato. “I suoi sequestratori lo hanno rilasciato” dicono all’Agenzia Fides fonti della diocesi di Auchi. “Attualmente don Thomas è ricoverato in osservazione in ospedale per accertamenti”.
Ricordiamo che don Thomas si era offerto di prendere il posto di due seminaristi che erano stati catturati dai banditi che avevano assalito il seminario (vedi Fides 29/10/2024). Per un felice coincidenza proprio oggi, 7 novembre, don Thomas Oyode celebra i 9 anni di sacerdozio.
Si ha però notizia del rapimento di un altro sacerdote rapito, don Christian Uchegbu della diocesi di Orlu, sequestrato, ieri 6 novembre, mentre tornava da Port Harcourt, nella zona del Delta del Niger.
(L.M.) (Agenzia Fides 7/11/2024)

UGANDA - Incendiata la chiesa di Mapeera Kigungu, sorta nel punto dove erano sbarcati i primi missionari evangelizzatori del Paese

Ha subito discreti danni la storica chiesa cattolica di Mapeera Kigungu, dopo che sconosciuti hanno appiccato un incendio al suo interno. I fatti risalgono al 7 novembre, quando alcune persone non identificate sono entrate nella chiesa interno alle 10 di sera appiccando il fuoco al lato sinistro del presbiterio. Le fiamme hanno distrutto oggetti religiosi di valore tra cui paramenti sacerdotali, calici da altare, tovaglie e bottiglie di vino da messa. Il danno stimato è di oltre 10 milioni di scellini.
Le fiamme sono state notate da alcuni fedeli laici che hanno dato l’allarme permettendo di spegnerle prima che arrecassero danni maggiori alla struttura. (…)
La chiesa di Mapeera Kigungu è costruita sul punto del Lago Vittoria dove nel 1879 sbarcarono i primi missionari cattolici evangelizzatori del Paese, padre Siméon Lourdel e fratel Amans Delmas della congregazione dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi).
Per questo motivo i cattolici ugandesi sono molto legati a questa chiesa, dove ogni anno il 17 febbraio numerosi fedeli si recano in pellegrinaggio per ricordare lo sbarco dei due missionari e l’avvio dell’evangelizzazione del Paese.
La chiesa è cambiata nel corso del tempo, dalla struttura in fango e canne costruita da Mons. Joseph Georges Edouard Michaud (Vicario Apostolico dell’Uganda dal 1933 al 1945) a un edificio in mattoni cotti e piastrelle.
La chiesa rischia di essere sommersa a causa dell’innalzamento del livello delle acque del Lago Vittoria.
(L.M. Agenzia Fides 11/11/2024)