2024 0925 HONDURAS - il cordoglio del Papa per l’omicidio di un operatore pastorale
HONDURAS - il cordoglio del Papa per l’omicidio di un operatore pastoralePAKISTAN - Donna cristiana condannata a morte per blasfemia su WhatsApp
UCRAINA - mons. Ryabukha (vescovo ausiliare Donetsk) a Tv2000, “la Russia vieta la presenza della Chiesa cattolica”
TESTIMONIANZA SUDAN - un sacerdote: “Si continua a morire nell’indifferenza del mondo”
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HONDURAS - il cordoglio del Papa per l’omicidio di un operatore pastorale
Papa Francesco, dopo l’Angelus, ha ricordato con dolore l’uccisione di Juan Antonio López, “delegato della Parola di Dio, coordinatore della pastorale sociale della Diocesi di Trujillo e membro fondatore della pastorale dell’ecologia integrale”. Il delitto il 14 settembre, quando il 46enne padre di due figlie usciva dalla Messa.
“Ho appreso con dolore che in Honduras è stato ucciso Juan Antonio López, delegato della Parola di Dio, coordinatore della pastorale sociale della Diocesi di Trujillo e membro fondatore della pastorale dell’ecologia integrale in Honduras. Mi unisco al lutto di quella Chiesa e alla condanna di ogni forma di violenza. Sono vicino a quanti vedono calpestati i propri diritti elementari e a quelli che si impegnano per il bene comune in risposta al grido dei poveri e della terra.”
Dopo la preghiera dell’Angelus, Papa Francesco, dalla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico, ha espresso così il suo cordoglio per la morte di Juan Antonio López, operatore pastorale e difensore dei diritti umani e dell’ambiente, ucciso a colpi d’arma da fuoco nella sua auto da un sicario in motocicletta sabato 14 settembre a Tocoa, in Honduras, subito dopo essere stato a Messa. Aveva 46 anni: lascia la moglie e due figlie. Negli ultimi tempi López stava lottando contro l’estrazione a cielo aperto di ossido di ferro in una miniera nel Parco Nazionale “Montaña Botaderos Carlos Escaleras” che stava causando l’inquinamento di due fiumi della zona, con gravi rischi per l’approvvigionamento idrico della popolazione.
Membro del Comitato Municipale per la Difesa dei Beni Comuni e Pubblici di Tocoa, era entrato spesso in conflitto con interessi commerciali e politici locali e nazionali, desiderosi di perseguire lo “sviluppo” nel dipartimento di Colón. López, che aveva studiato dai gesuiti, era anche membro della Rete ecologica ecclesiale mesoamericana (Remam) e del Consiglio apostolico nazionale della Compagnia di Gesù in Honduras.
Il vescovo di Trujillo, monsignor Jenry Orlando Ruiz, di cui López era uno strettissimo collaboratore, ha scritto in un messaggio: “Mi hai detto che non eri un ambientalista perché per te l’impegno sociale, ecologico e politico non erano una questione ideologica, ma una questione del tuo essere di Cristo e di Chiesa”. La Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) aveva raccomandato che venissero messi in atto nei suoi confronti dei meccanismi di protezione adeguati, cosa non avvenuta.
La Conferenza episcopale dell’Honduras (Ceh) in un messaggio al popolo honduregno per la morte di López, lo definisce “delegato della Parola di Dio, coordinatore della Pastorale sociale della Diocesi di Trujillo, membro fondatore della Pastorale di Ecologia integrale a livello nazionale, difensore della Casa comune, uomo impegnato nella verità, onesto e coraggioso”. E sostiene che questo omicidio “è un duro colpo per la sua famiglia, per la Chiesa diocesana di Trujillo, in particolare, e per la nostra Chiesa in Honduras, in generale”. I vescovi condannano con forza “questo vile omicidio” e chiedono “alle autorità non solo di parlare di giustizia, ma anche di lavorare con diligenza e sincerità per garantirla a tutti i cittadini”.
(RV Alessandro Di Bussolo - Città del Vaticano 22 settembre 2024)
PAKISTAN - Donna cristiana condannata a morte per blasfemia su WhatsApp
Shagufta Kiran, donna cristiana pakistana di 40 anni, è stata ritenuta colpevole di blasfemia e condannata a morte, ai sensi dell’articolo 295-C del Codice penale, per vilipendio al profeta Maometto compiuto con un messaggio sul social media WhatsApp. L’avvocato Rana Abdul Hameed ha affermato che un giudice di primo grado del tribunale speciale di Islamabad, che applica la legge di prevenzione dei crimini elettronici (Prevention of Electronic Crimes Act, PECA), ha anche comminato una multa di 300.000 rupie (circa mille dollari Usa), a conclusione di un processo durato circa tre anni. La difesa ha spiegato che “Kiran non era l’autrice di quel contenuto e che lo aveva semplicemente inoltrato in una chat, senza leggerlo” ma ciò non è bastato a evitare la condanna.
Il verdetto fa seguito al suo arresto, avvenuto il 29 luglio 2021, per aver partecipato a una discussione su temi religiosi all’interno di un gruppo WhatsApp denominato “Pure Discussion”. Il denunciante, Sheraz Ahmed Farooqi, sosteneva che le sue osservazioni rilanciate sul gruppo erano “irrispettose “nei confronti del profeta Maometto. La sentenza ha lasciato la sua famiglia, in particolare i suoi quattro figli, sconvolta per una decisione dei giudici ritenuta ingiustificata.
Rana Abdul Hameed, avvocato di Shagufta legato all’organizzazione pro diritti umani Voice for Justice, afferma che le accuse sono infondate e motivate solo da rancori personali, come spesso avviene in casi in cui la legge viene sfruttata per dirimete questioni personali o controversie.
L’avvocato difensore ha reso noto che presenterà ricorso presso l’Alta corte di Islamabad, il secondo grado di giudizio. Secondo il legale, “la persona che ha scritto il messaggio incriminato è a piede libero; colei che ha solo espresso un’opinione, nemmeno approvandolo, è condannata. Riteniamo che Shagufta sia stata accusata perché cristiana: è un bersaglio facile ed è vulnerabile”.
Sconvolti i quattro figli di Shagufta Kiran: “Stiamo piangendo da ieri e questa notizia ha portato ancora più dolore e trauma a tutta la nostra famiglia” ha detto Nihaal, una delle figlie. “Negli ultimi quattro anni - aggiunge in un’intervista a EU Today - abbiamo sofferto per il caso di mia madre. È stata tenuta in una cella di isolamento dal 2021. Dio ci ha messo in una grande prova”. Gli attivisti esortano inoltre la comunità internazionale a denunciare il continuo abuso delle leggi sulla blasfemia in Pakistan, a sostenere la protezione delle minoranze religiose e la salvaguardia dei diritti umani fondamentali. (PA) (Agenzia Fides 20/9/2024)
UCRAINA - mons. Ryabukha (vescovo ausiliare Donetsk) a Tv2000, “la Russia vieta la presenza della Chiesa cattolica”
“Il governo russo che ha occupato i territori, addirittura ha fatto un documento che vieta non solo la presenza della Chiesa cattolica ma anche tutti gli organi che appartengono alla Chiesa cattolica cioè anche la Caritas e altri che operano nel servizio sociale”. Lo ha detto mons. Maksym Ryabukha, vescovo ausiliare dell’esarcato greco-cattolico di Donetsk, ai microfoni del Tg2000, il telegiornale di Tv2000, sottolineando che “in questa guerra abbiamo perso quasi la metà delle parrocchie dell’esarcato di Donetsk”.
L’esercito russo continua ad avanzare in Donbass. Migliaia di civili sono in fuga dai villaggi bersagliati notte e giorno dai missili di Mosca. Decine di parrocchie hanno chiuso perché i russi sono alle porte. Un quadro drammatico quello che il vescovo ha fatto a Tv2000: “La situazione diventa sempre più preoccupante. La linea del fronte si sposta verso l’interno del nostro Paese sempre più in profondità”. “A Pokrovsk, Mirnohrad e Kostantinivka – ha spiegato – le parrocchie sono state evacuate e non c’è più nessuno. I nostri sacerdoti cercano di stare vicino al popolo. Visitano i profughi che hanno lasciato le loro case, per mantenere un senso di unità ma anche di famiglia cristiana”.
(SIR 20 Settembre 2024)
TESTIMONIANZA
SUDAN - un sacerdote: “Si continua a morire nell’indifferenza del mondo”
Nel Paese africano devastato da una guerra senza fine, sono decine di migliaia i morti e dieci milioni gli sfollati. Il drammatico racconto di un religioso: “Da qui fuggono anche laici, preti e suore. Chi può tenta di andare in Sud Sudan, Ciad ed Egitto”. Ma la Chiesa continua ad aiutare
Tutti stanno fuggendo dal Sudan. Fuggono gli uomini, inorriditi da una guerra tra esercito e milizie che porta solo devastazione e morte. Fuggono le donne, impazzite per l’urgenza di portare in salvo i propri bambini. Fuggono i musulmani, maggioranza religiosa stanca di vedere assaltate le proprie case, i propri negozi, sgozzati o fucilati a sangue freddo i propri cari. Fuggono anche i cattolici che prima dello scoppio del conflitto erano una piccolissima minoranza di un milione ma oggi si sono ridotti a malapena alla metà. Cercano di scappare dove possono, in Sud Sudan, in Ciad, in Egitto. Vogliono dimenticare orrori come quello denunciato ai media vaticani da un religioso che preferisce mantenere l’anonimato, per non mettere a repentaglio la propria sicurezza e quella dei suoi fratelli nella fede: «Nella città di Sennar, qualche giorno fa, un mercato è stato raso al suolo dalle bombe. Le vittime sono state una quarantina, persone povere la cui unica colpa è stata quella di cercare cibo per tentare di sopravvivere».
L’oblio dell’informazione
Una notizia rimasta impantanata nei bassifondi dell’informazione internazionale che ha ignorato anche altre decine di tragedie quotidiane come quella dello scorso metà agosto avvenuta ad El Obeid, capitale dello stato del Kordofan settentrionale del Paese africano. Il religioso si emoziona quando cerca di ricordarla, la sua voce quasi si incrina: «Decine di bambini sono morti sotto le macerie di una scuola tirata giù con i missili. Un attacco assurdo e deliberato del quale nessuno si è preso pena». Nessuno ha interesse per una guerra, combattuta ormai da più di un anno unicamente per la conquista del potere, che contrappone l’esercito e i miliziani. E che vive una situazione di drammatico stallo: Khartoum, la capitale, devastata da continui bombardamenti; i villaggi del Darfur, provincia ad occidente della nazione, completamente dati alle fiamme e depredati, una volta dall’esercito e la volta successiva dalle milizie; le città di El Obeid, Sennar e Kaduqli rese fantasma da attacchi a colpi di mitra e cannone. Non si vince e non si perde, si continua solo a morire.
Ferite profonde
Quando inizia a descrivere la situazione della Chiesa locale in questo inferno di cadaveri e disperazione, la nostra fonte ha come un sussulto: «Religiosi stranieri, preti diocesani, laici: quasi tutti sono fuggiti. Non c’è quasi più nessuno. Nell’arcidiocesi di Khartoum, ad esempio, sono rimasti solo tre sacerdoti che mantengono viva la vita sacramentale come meglio possono. Solo nella città di Port Sudan, a nord-est dell’arcidiocesi, c’è una corposa presenza di religiosi comboniani, di suore di Madre Teresa e di un’altra congregazione di suore indiane». Non va meglio nella diocesi di El Obeid dove il vescovo può contare solo su tre sacerdoti. «Molti di loro, forse la maggioranza, sono fuggiti sui monti Nuba, dove la guerra ancora non è arrivata, ed in Sud Sudan», sostiene il sacerdote. Con le stesse proporzioni di preti e suore, anche i laici hanno abbandonato il Paese. O stanno pensando di farlo. A quelli che rimangono, la Chiesa locale cerca di garantire la celebrazione dei sacramenti anche a costo di doverli raggiungere nelle zone più sperdute ed impervie. Il religioso è orgoglioso di far sapere che, nonostante tutto, «le piccole comunità cattoliche che hanno trovato riparo in villaggi lontani possono contare sulla presenza dei catechisti, ai quali è affidata la liturgia della Parola, e alcune volte di quei pochi sacerdoti rimasti che si recano da loro con difficoltà ed abnegazione».
La carità della Chiesa
L’impegno prioritario per la Chiesa locale è diventato anche quello di assistere e sostenere la popolazione. Cibo, acqua, medicine, coperte, costano sempre di più e farle giungere a destinazione è un’impresa complicata. Eppure, il sacerdote conferma che già da tempo «si stanno raccogliendo donazioni ed offerte con le quali stiamo aiutando la gente in modo diretto. Quando è possibile, riusciamo anche a far spostare da una zona all’altra chi ha bisogno di andare in ospedale. Aiutiamo la gente caso per caso: non solo cristiani ma chiunque abbia necessità e bussa alla nostra porta». Alla domanda se la Chiesa potrebbe diventare parte attiva nei processi di pacificazione delle fazioni in lotta, il religioso non esita a rispondere partendo da un dato di fatto: «Non ne abbiamo la forza. Non abbiamo canali diplomatici diretti, come la Nunziatura, con i quali poter interagire politicamente ed istituzionalmente. Quello che la Chiesa può fare è richiamare l’attenzione dei media su ciò che stiamo vivendo». Attenzione che però sembra non esserci, sul Sudan è calato l’oblio. «È vero. Ma la Chiesa continua a parlare. Anche se ci sentiamo abbandonati totalmente dalla comunità internazionale. Certo, c’è la guerra in Ucraina ed in Terra Santa ma qui ci sono dieci milioni di sfollati, decine di migliaia di morti mentre un milione di persone rischia di morire di fame. Che cosa deve capitare ancora a questo disgraziato Paese affinché si ascolti il suo grido disperato?». (RV Federico Piana - Città del Vaticano 18 settembre 2024)