2024 09 18 in margine alla visita del Papa TIMOR EST - Le storie di fede e di martirio nella Chiesa di Timor Est

Le storie di fede e di martirio nella Chiesa di Timor Est
TURCHIA - fermato un miliziano ceceno dell'Isis legato dell’attacco a Santa Maria
Cristiani turchi la minoranza più perseguitata nel Paese.
INDIA Tamil Nadu: vescovi contro il governatore che semina discordia sui missionari
LIBANO – ISRAELE -- La guerra di Hezbollah a Israele e i contadini cristiani che lottano per salvare le olive
TESTIMONIANZA MYANMAR - “Da Lat Ya Ma a Pekhon, quelle mani sporche di sangue e il silenzio dei monaci”
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TIMOR EST - Le storie di fede e di martirio nella Chiesa di Timor Est

A Timor Est c’è “una meravigliosa storia di eroismo, di fede, di martirio e soprattutto di fede e riconciliazione”, ha detto papa Francesco, parlando ai giovani timoresi, nell’ultimo incontro prima di lasciare la piccola nazione cattolica del Sudest asiatico e dirigersi verso Singapore.
Quella storia è stata scritta soprattutto nella fase più cruenta del conflitto con l’Indonesia, al momento del referendum per l’indipendenza, nel 1999, quando bande armate filo-indonesiane compirono massacri e violenze indiscriminate prima che l’esercito occupante lasciasse il territorio timorese. Ne fecero le spese anche gli esponenti della Chiesa: venne ferito il Vescovo di Baucau, altri furono costretti a fuggire, preti, consacrati catechisti, seminaristi persero la vita.
Sono riportati negli annali dell’Agenzia Fides tra i gli “operatori pastorali uccisi in modo violento” Tarcisius Dewanto, gesuita, Hilario Madeira e Francisco Soares, nativi di Timor Est, tre preti che svolgevano servizio pastorale nella chiesa cattolica di Suai. Furono uccisi il 6 settembre 1999 e in loro memoria la comunità dei battezzati di Timor Est celebra ogni anno la Giornata dei missionari martiri. I sacerdoti fecero scudo con il loro corpo per cercare di impedire la carneficina di 100 civili.
Cinque giorni dopo il massacro Suai, anche Karl Albrecht, 70enne gesuita tedesco giunto in Indonesia nel 1959, fu freddato nella sua abitazione.
Nella località di Dare venne poi ucciso padre Francisco Barreto, allora direttore del Caritas locale. Più a Est, tra Dili e Baucau, il 25 settembre due religiose canossiane furono assassinate insieme con alcuni seminaristi e laici mentre si recavano a prestare soccorso agli sfollati. Erano suor Erminia Cazzaniga, italiana, e la consorella Suor Celeste de Carvalho Pinto. Oggi il Gruppo missionario di Sirtori, paese natale di suor Erminia, in provincia di Lecco (Italia), sta raccogliendo il materiale al fine di promuovere la causa per proclamarne il martirio.
Dopo il voto per l’indipendenza, le milizie lealiste, sostenute dall’esercito indonesiano, avviarono una campagna punitiva uccidendo circa 1.400 cittadini timoresi e costringendo oltre 300mila persone alla fuga. Sacerdoti, suore, religiosi, catechisti avrebbero potuto facilmente lasciare l’isola ma, animati da fede e carità, scelsero di restare a fianco della popolazione, e donare la vita per la gente indifesa, fino in fondo.



TURCHIA - fermato un miliziano ceceno dell’Isis legato dell’attacco a Santa Maria
Cristiani turchi la minoranza più perseguitata nel Paese.


Le forze di sicurezza turche hanno arrestato un miliziano dello Stato islamico, sospettato di aver pianificato e orchestrato l’attacco alla chiesa cattolica di Santa Maria nel distretto di Sariyer a Istanbul il 28 gennaio scorso, durante il quale è morto un fedele. Lo riferiscono fonti dell’Intelligence di Ankara, dopo aver portato a compimento il fermo: dalle prime ricostruzioni egli si chiama Viskhan Soltamatov e avrebbe ideato l’assalto, studiandone le fasi operative e rifornendo le armi utilizzate dai membri del gruppo legato all’ Isil-K, di base nella provincia di Khorasan (Iskp) e attivo anche in Afghanistan.

A rimanere ucciso nei raid era stato un uomo di nome Tuncer Cihan, che partecipava alla celebrazione mattutina dell’eucaristia nel luogo di culto guidato dai frati francescani.

Un atto di terrorismo legato al fondamentalismo islamico”.
Il sospetto - di origine cecena - è stato arrestato il 14 settembre scorso, durante un’operazione congiunta delle forze della sicurezza e dell’intelligence a Istanbul. Nel primo interrogatorio avrebbe fornito indicazioni sulle modalità di reclutamento, finanziamento e le attività legate alla logistica del gruppo.

L’attentato alla chiesa di Santa Maria, nel quale è morto un fedele di 52 anni, è solo uno dei molti episodi di violenza e intolleranza degli ultimi anni, confermati anche da studi recenti secondo cui i cristiani sono il gruppo minoritario più perseguitato del Paese. Uno degli ultimi rapporti, diffuso a metà luglio, è quello degli esperti di Freedom of Belief Initiative, che riporta decine di eventi violenti legati a “crimini di odio” che hanno preso di mira diversi gruppi religiosi, ma con una incidenza maggiore fra cristiani ed ebrei.
(Agenzia Fides 11/9/2024)


INDIA Tamil Nadu: vescovi contro il governatore che semina discordia sui missionari
In una commemorazione pubblica ha attaccato l’opera educativa portata avanti durante il dominio britannico, sostenendo che mirasse a “minare l’identità indiana”. La replica dela Conferenza episcopale locale: “Una grossolana distrosione della storia che vuole solo creare divisioni nell’India di oggi”.

Il Consiglio episcopale del Tamil Nadu (TNBC) e il Consiglio dei vescovi di rito latino del Tamil Nadu (TNLBC) hanno espresso una “forte condanna” contro il governatore di questo Stato indiano, R.N. Ravi, per aver diffuso - durante un recente evento - quella che definiscono “falsa propaganda”. Il riferimento è a un discorso tenuto sabato 7 settembre, alle celebrazioni per i 50 anni dell’Education Group di Mylapore a Chennai, elogiato dal governatore Ravi per il contributo all’ascesa di una nuova Bharat (la nazione indiana) e la promozione dell’istruzione in sanscrito (la lingua sacra degli indù). Parole però accompagnate da commenti sprezzanti nei confronti dell’opera educativa dei missionari durante il dominio britannico.

Il Consiglio episcopale ha definito queste parole come storicamente inaccurate e profondamente “offensive”. “Sono una grossolana distorsione della storia - spiegano - perché suggeriscono l’idea che i cristiani fossero alleati con gli inglesi negli sforzi per minare l’India. Il che è una falsità assoluta”.

Per il governatore Ravi i missionari cristiani avrebbero “rubato le nostre ricchezze e i nostri tesori artistici, creando una falsa identità per la gente del Paese, manipolando la storia e rendendola sbagliata”. Affermazioni che i vescovi del Tamil Nadu definiscono una “retorica divisiva rivolta alla comunità cristiana”.

Per l’arcivescovo di Mylapore, mons. George Anthonysamy, “il discorso del governatore Ravi non è stato solo odioso, ma un chiaro tentativo di incitare tensioni tra le comunità”.
L’arcivescovo ha inoltre sottolineato che i cristiani in India sono da tempo profondamente legati alle tradizioni, ai valori e alla cultura del Paese e sono impegnati nel suo sviluppo. Ha chiesto al governatore di smettere di promuovere una politica di odio e ha esortato Ravi a concentrarsi sull’unità tra le persone e sull’adempimento dei suoi doveri costituzionali.
(AsiaNews di Nirmala Carvalho 14/09/2024)

LIBANO – ISRAELE -- La guerra di Hezbollah a Israele e i contadini cristiani che lottano per salvare le olive

Giunti ormai al dodicesimo mese della “guerra di sostegno” (a Gaza) che Hezbollah ha sferrato contro Israele, la situazione nei villaggi di frontiera del sud del Libano è più incerta che mai. Dopo alcuni giorni di relativa calma, dal fronte israeliano si registra di nuovo una intensificazione delle operazioni militari, per “riportare nelle loro case la popolazione” del nord dello Stato ebraico. È in questo quadro di crescenti tensioni che i raid israeliani si sono intensificati negli ultimi giorni, prendendo di mira nuove regioni nell’ambito della strategia finalizzata a “creare cinture di fuoco” nelle valli e nelle foreste che collegano le città. Anche Hezbollah ha optato per un cambiamento di tattica, facendo sempre più uso di droni nelle sue operazioni.
Con l’approssimarsi della stagione della raccolta delle olive, ai coltivatori e proprietari terrieri è fatto obbligo di prudenza. Un approccio obbligato, sebbene finora i bombardamenti israeliani restino selettivi, risparmiando i villaggi e i centri residenziali popolati dai cristiani, i cui uliveti sono del resto custoditi con cura e attenzione dai loro proprietari.
È questo il caso di Deir Mimas, Bourj el-Moulouk, Kleyaa e Rachaya, nel distretto di Marjeyoun. I consiglieri di questi villaggi, alcuni dei quali si sono spopolati a causa delle circostanze attuali caratterizzate da guerra e violenze, hanno appena informato l’esercito libanese e il comando della Forza internazionale di pace Onu (Unifil) della loro intenzione di procedere alla raccolta delle olive. Tuttavia, avvertono i leader locali, “non inizieremo alcunché fino a quando non avremo una scorta dell’Unifil, sapendo che la situazione sembra destinata a peggiorare di nuovo”, concorda un coltivatore di Deir Mimas.
“Sarà mai dato sapere?”
“Non lo sapremo mai!”, esclama in risposta al quesito un abitante dello stesso villaggio, dietro garanzia di anonimato (*). “Un proiettile lanciato da un carro armato ha colpito la nostra casa l’altra notte. È un miracolo che non siamo stati fatti a pezzi. Ma ci siamo rifiutati di parlarne con i media, venuti con le loro telecamere. I nostri concittadini intorno a noi sono nervosi per i rischi che corrono, e li capiamo. Molti di loro [sciiti legati al movimento libanese di Hezbollah] hanno perso la vita in combattimento. Non possiamo lamentarci pubblicamente di una guerra che deploriamo, ma che loro considerano un dovere sacro”.
“D’altro canto - aggiunge l’uomo - vi è anche la brutalità dell’esercito israeliano non conosce limiti. Qualche giorno fa hanno bombardato un’autopompa della Protezione Civile che stava spegnendo l’incendio in un uliveto, uccidendo i tre uomini a bordo che la stavano utilizzando”.
I cristiani del sud del Libano, come la stragrande maggioranza degli abitanti del Paese dei cedri, erano ostili all’apertura di un fronte con Israele l’8 ottobre 2023, il giorno dopo l’attacco sferrato da Hamas a Gaza. Tuttavia, Hezbollah ha lanciato le ostilità unilateralmente, senza consultare nessun altro leader o rappresentante interno alla nazione.
“La raccolta inizia a metà ottobre e dura generalmente un mese e mezzo” spiega Fouad (*), che è fuggito dalla sua casa di Deir Mimas. Sa però che dovrà farvi ritorno per almeno sei, otto settimane, nonostante i rischi, il tempo necessario per raccogliere e vendere i prodotti della raccolta.
“Speriamo di vendere un gallone da 20 litri a 200 dollari quest’anno, rispetto ai 150 dollari dell’anno scorso”, auspica l’uomo. Questo aumento è dovuto all’inflazione, che si riflette sul costo della manodopera.
L’olivicoltura produce tra le 100 e le 200mila tonnellate di olive all’anno. Circa il 30% del raccolto viene utilizzato come olive da tavola. Il restante 70% viene destinato alla spremitura per estrarre l’olio: secondo le cifre ufficiali, in Libano si producono ogni anno tra le 15mila e le 25mila tonnellate di olio d’oliva.
* I nomi sono omessi o inventati su richiesta degli stessi intervistati, a tutela della loro identità e per il timore di ritorsioni
di Fady Noun Beirut (AsiaNews11/09/2024)

TESTIMONIANZA

ilSussidiario.net pubblica questa lettera dal Myanmar

MYANMAR - “Da Lat Ya Ma a Pekhon, quelle mani sporche di sangue e il silenzio dei monaci”
Caro direttore,
il mio ultimo contributo iniziava così: “Il nostro è un dramma che si consuma a fuoco lento, con tutto ciò che ne consegue. Soprattutto in termini di sofferenze e morti”. Come avrei voluto essere un cattivo profeta! Invece proprio nei giorni in cui voi pubblicavate il mio contributo, i militari (o come li chiamano qua: i cani) – sentendosi braccati – davano sfogo alla violenza, all’odio che hanno dentro.
Infatti mentre sui media ufficiali si parla dei successi della giunta militare, sui giornali clandestini c’è una pioggia di racconti di violenze sempre più gravi. Cito solo le più drammatiche di venerdì 6 settembre.

Villaggio di Lat Yat Ma nel comune di di Myaing della regione di Magwe: nove bambini che frequentavano la scuola cattolica sono morti sotto un bombardamento aereo nonostante nella zona non fossero in corso scontri militari; i feriti e i danni materiali li vorrei tacere perché impliciti. Faccio notare però che per una famiglia povera vedere morire l’unica bufala equivale alla morte di un figlio. Sarà per loro impossibile lavorare i campi e quindi sostenere il resto della famiglia. La foto delle nove bare semiaperte comunque è circolata sui giornali clandestini.

Città di Namham nello stato Shan, vicino al confine cinese, altro bombardamento aereo con 13 morti.

Poche ore prima, sempre venerdì 6 settembre, altro bombardamento aereo su Pekhon, stato di Shan, su un campo di sfollati con 10 morti (di cui 8 bambini) e 14 feriti.

Purtroppo tutto ciò è solo il racconto dei fatti più eclatanti di un giorno fra i tanti di ordinaria follia. Da dove nasce questa violenza è evidente, il poeta direbbe con ragione: “Usura, lussuria e potere”. Mi colpiscono però alcuni aspetti: questa violenza non avviene contro nemici esterni, ma contro i propri fratelli (a volte nel senso letterale del termine); la protervia dei militari, cresciuta in un popolo che nella filosofia buddista contempla un rispetto sacro per ogni forma di vita; l’ignavia, l’assenza, il totale spiritualismo dei monaci buddisti che, unici, potrebbero pacificamente chiudere questa fase, come è già successo in passato; la mancanza di senso della realtà dei capi politici e militari, che non hanno ancora capito di dover chiudere questa partita.

Mi colpisce anche, come più volte ho scritto, che altri non intervengano quando i segni del fallimento sono evidenti.
(Un lettore dal Myanmar) Lettera firmata Pubblicato 11 Settembre 2024