2024 03 13 PAKISTAN - Shahbaz Bhatti: memoria e gratitudine verso il ministro cattolico ucciso nel 2011
PAKISTAN - Shahbaz Bhatti: memoria e gratitudine verso il ministro cattolico ucciso nel 2011NOTIZIE: VIETNAM - la polizia arresta tre fedeli di una chiesa domestica protestante
SVEZIA - Stoccolma nega l’asilo: 84enne cristiano iracheno muore sul volo di rimpatrio
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PAKISTAN - Shahbaz Bhatti: memoria e gratitudine verso il ministro cattolico ucciso nel 2011
Ogni anno in Pakistan si celebra la commemorazione del ministro cattolico Shahbaz Bhatti, ucciso da mano terrorista, all’età di 39 anni, il 2 marzo 2011 a Islamabad. La sua storia, la vicenda umana e l’impegno politico sono ricordati con affetto e commozione e rappresentano una fonte di ispirazione per le comunità cristiane di tutte le confessioni, che si riuniscono, in occasione dell’anniversario della sua morte. Eventi e celebrazioni - partecipate anche da fedeli musulmani e di altre confessioni religiose - si sono svolte in varie città del Pakistan come Islamabad, Lahore, Karachi, Faisalabad, Kushpur, suo villaggio natale.
“Voglio solo un posto ai piedi di Gesù”, scriveva il ministro Bhatti nel suo testamento spirituale, esprimendo il suo desiderio di conformarsi a Cristo in ogni gesto della sua esistenza, anche e specialmente nell’attività politica, a servizio del bene comune. “I sentimenti presenti oggi in tutti i settori della società sono quelli della gratitudine e della riconoscenza, ripensando alla sua missione di costruire in Pakistan una nazione giusta, pacifica e tollerante, in cui le minoranze religiose possano esercitare uguali diritti e vivere in pace e armonia con i fedeli musulmani, all’insegna del rispetto e del riconoscimento reciproco. Il suo è un prezioso insegnamento per il Pakistan di oggi”, dice p. Emmanuel Parvez, sacerdote di Faisalabad, padre spirituale di Shahbaz Bhatti.
(PA) (Agenzia Fides 11/3/2024)
Un convegno anche al Senato italiano
Bhatti, 13 anni dall’omicidio del leader cristiano operatore di pace in Pakistan
Un convegno al Senato italiano ha commemorato Shahbaz Bhatti, ministro delle Minoranze del Paese asiatico, ucciso nel marzo del 2011 da un commando terrorista per il suo impegno per la libertà religiosa e per l’abolizione della legge sulla blasfemia. I semi di pace e giustizia da lui piantati animano politici, avvocati, attivisti e leader religiosi che hanno preso il testimone delle sue battaglie per gli oppressi
“Credeva nella verità e nella giustizia anche a prezzo della propria vita, un impegno tutto illuminato dalla fede”, questo è solo uno dei ricordi che hanno celebrato la figura di Clement Shahbaz Bhatti, avvocato, cattolico pakistano e ministro delle Minoranze religiose del Pakistan, ucciso il 2 marzo 2011 a 42 anni, in un attentato condotto dagli estremisti islamici con l’intento di silenziare una voce che si batteva per gli oppressi e a favore della libertà religiosa.
L’omaggio al Senato
L’omaggio a Shahbaz Bhatti è stato organizzato dall’Associazione Cristiani Pakistani in Italia e si è tenuto a Roma lunedì 11 marzo presso Palazzo Giustiniani, sede degli uffici del Senato della Repubblica.
Incarnava la politica come forma di carità
In apertura del convegno, Luisa Santolini, presidente dell’Associazione Parlamentare Amici del Pakistan, ha sottolineato che non è stata ancora compresa la portata della figura di Bhatti che ha incarnato la beatitudine dei perseguitati e lo ha ricordato come un uomo “mite, semplice, con sguardo limpido, da vero operatore di pace”. “La vita di Bhatti - ha aggiunto - è un invito a non essere tiepidi e a combattere le ingiustizie; la strada della politica è stata bagnata dal sangue da Bhatti e per questo, come diceva Papa Paolo VI, resta la forma più nobile di carità. Si può essere santi anche facendo politica”. Santolini ha evidenziato infine che la libertà religiosa è il primo di tutti i diritti da cui discendono tutti gli altri.
Un omicidio annunciato
Sara Fumagalli, presidente dell’Associazione Cristiani Pakistani in Italia, ha invece ripercorso la vita pubblica di Bhatti evidenziando che la sua santità è stata solo suggellata dal martiro dal momento che tutta la vita dell’avvocato pakistano è stata spesa per la giustizia e per gli ultimi. “Già da studente mise un manifesto nella bacheca della scuola dicendo che non si sarebbe mai arreso. Era un uomo consacrato a Dio quindi il potere che aveva acquisito in politica lo ha trasformato in una vocazione”. Fumagalli ha quindi spiegato che era consapevole di tutti i rischi che correva e che il suo omicidio fu annunciato, “il periodo in cui manifestavamo per Asia Bibi – ricorda ancora Fumagalli - si parlava non di “se” ma di “quando” Shahbaz Bhatti sarebbe stato ucciso. A nulla valsero gli appelli per dotarlo di un’auto blindata. Che testimonianza gigante!”. Infine Fumagalli esorta a rilanciare l’amicizia tra Italia e Pakistan continuando a mettere semi di “dialogo e pace”.
Un leader senza paura
Davide Dionisi, Inviato speciale del Governo italiano per la Libertà religiosa, ha affermato che (…) “Era un leader senza paura – Nonostante avesse ricevuto minacce di morte, non abbandonò mai il suo Paese continuando nella sua opera di portavoce dei sofferenti e dei perseguitati. A distanza di 13 anni possiamo dire che il suo sacrificio e il suo impegno non sono stati vani perché i cristiani vivono e operano perché il Pakistan non ceda all’estremismo e al terrorismo”.
Il pastore che non lascia le sue pecore
Molto significativo l’intervento di Paul Bhatti, fratello di Shahbaz, medico e presidente dell’Alleanza delle Minoranze Pakistane, il quale ha detto che la presenza a questo evento “non solo solleva dal dolore della mancanza di Shahbaz ma incoraggia la lotta per la libertà religiosa”. Il fratello “ha dedicato 28 anni della sua vita per creare una Pakistan senza odio e senza discriminazione dove tutti possano professare la fede senza timore”. Paul ha poi ricordato che anche i padri fondatori del Pakistan non volevano uno stato islamico e che la bandiera del Pakistan rappresenta “la convivenza tra il bianco delle minoranze e il verde della maggioranza islamica”. Il fratello ha raccontato che Bhatti già da bambino “mostrava una fede che gli dava il coraggio di combattere”. Aveva solo 16 anni quando un operaio del villaggio fu accusato di blasfemia, e Shahbaz è stato lì a difenderlo e raccogliere fondi per la famiglia. “Spesso faceva l’esempio del pastore che non lascia le sue pecore nel momento di difficoltà, aveva anche proposte di aiuto dall’Italia e dal Canada, ma non voleva lasciare il suo Paese”. Infine Paul Bhatti ha chiesto un impegno per eliminare l’analfabetismo e l’estremismo in Pakistan, l’unica strada percorribile, a suo parere, per garantire la libertà religiosa a tutti pakistani per raggiungere l’obiettivo dell’abolizione della legge sulla blasfemia.
Informare i cristiani dei loro diritti
Fra gli altri interventi, quello del direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre, Alessandro Monteduro, che ha ricordato il sacrificio di tutti martiri del XXI secolo, come i lavoratori copti uccisi dall’Isis sulla spiaggia di Sirte in Libia. “Il 2 marzo 2011 segna dolorosamente la storia delle comunità cristiane di tutto il mondo – ha proseguito il direttore di Acs -, fu un delitto annunciato che non ha riguardato solo i cristiani del Pakistan ma tutte le minoranze religiose perché l’azione di Bhatti metteva al centro la valorizzazione di tutte le comunità religiose”. Valeria Martano, coordinatrice per l’Asia di Sant’Egidio, ha invece ricordato l’eredità del lavoro di Bhatti, che si è concretizzata con nuovi diritti per tutte le minoranze del Pakistan. Grazie a lui esiste una legge che impone agli uffici pubblici di assumere un 5% di lavoratori appartenenti alle minoranze, è stata istituita una festa delle minoranze l’11 agosto e decretata l’apertura di luoghi di culto per non musulmani nelle carceri del Pakistan. E poi c’è chi combatte le ingiustizie e le persecuzioni tutti i giorni sul terreno come l’avvocato Tabassum Yousaf, giovane donna che ha animato il convegno raccontando il dramma dei matrimoni e delle conversioni forzate. Yousaf difende le minoranze nelle aule dei tribunali ma anche incontrando le comunità cristiane in tutto il Paese per rendere donne e uomini consapevoli dei loro diritti. (RV 2024 03 11 Marco Guerra – Città del Vaticano)
NOTIZIE
VIETNAM - Dak Lak: la polizia arresta tre fedeli di una chiesa domestica protestante
Dal 4 marzo scorso non si hanno notizie certe sulla loro sorte. Il fermo è avvenuto senza mandato o spiegazioni sui motivi. Essi sono parenti del pastore Y Khen Bdap, anch’egli condannato nel 2004 a quattro anni per “disturbo dell’ordine pubblico” per le attività religiose. Già in passato la comunità era stata oggetto di violenze e persecuzioni a sfondo confessionale.
La polizia vietnamita ha fermato e prelevato tre membri di una chiesa domestica protestante e indipendente della provincia di Dak Lak, negli Altipiani centrali, senza fornire informazioni sulla loro sorte alle famiglie e alla comunità. Gli arresti si sono verificati in un’area già teatro di tensioni confessionali in passato e risalgono al 4 marzo scorso ma, ad oggi, non si hanno comunicazioni ufficiali da parte delle autorità come conferma un familiare.
Il pastore Y Khen Bdap ha spiegato a Radio Free Asia (Rfa) che i detenuti sono membri della sua famiglia: si tratta di suo fratello minore Y Qui Bdap, suo figlio Y Nam Bkrong e suo nipote Y Kic Bkrong. Tutte e tre le persone fermate appartengono alla minoranza etnica Ede e risiedono stabilmente nel villaggio di Ea Khit, nel comune di Ea Bhok, nel distretto di Cu Kuin.
La polizia delle province di Dak Lak e Binh Phuoc ha visitato la loro casa la sera del 3 marzo per controllare i loro documenti e perquisire il posto. Il giorno seguente, gli agenti si sono recati nella loro azienda mentre stavano lavorando e li ha prelevati. Le forze dell’ordine li hanno “arrestati e trattenuti - afferma il pastore - senza alcuna spiegazione o mandato”.
La Chiesa evangelica di Cristo degli Altipiani centrali e la Chiesa protestante indipendente sono due gruppi religiosi della provincia di Dak Lak che Hanoi non ha riconosciuto, rendendo difficile lo svolgimento delle attività. I membri sono spesso soggetti a molestie e arresti da parte delle autorità comuniste. (…)
(AsiaNews09/03/2024)
SVEZIA - Stoccolma nega l’asilo: 84enne cristiano iracheno muore sul volo di rimpatrio
La vittima è il caldeo Hanna Saka, spirato mentre stava rientrando a Baghdad dopo il provvedimento di espulsione svedese. Il malore fatale a bordo del mezzo, ma già prima dell’imbarco erano emersi problemi. Per il fratello il peggioramento è coinciso con il rifiuto della domanda di asilo. I cristiani iracheni e la migrazione, un tema sempre di attualità.
Da sette anni era in attesa di vedere accolta la richiesta di asilo, invano. L’ultima bocciatura è coincisa con un provvedimento di espulsione e di rimpatrio. Sul volo di ritorno verso Baghdad, in Iraq, la terra di origine, sopraggiunge la morte improvvisa. È la vicenda dell’84enne cristiano caldeo Hanna Saka, conclusa tragicamente nei giorni scorsi su un mezzo della Turkish Airlines costretto ad un atterraggio di emergenza a Varsavia, in Polonia, per il decesso dell’esule. Secondo quanto riferisce Syriac Press, agenzia di informazione specializzata in notizie sugli assiro-caldei dell’Iraq, Israele, Libano e Medio oriente, i responsabili del centro immigrazione di Stoccolma lo hanno respinto con provvedimento immediato di deportazione.
Adil Saka, fratello del defunto, ha raccontato di peggioramento delle condizioni di Hanna all’arrivo in aeroporto, in fase di rimpatrio, che si sono rapidamente aggravate a bordo dell’aereo. Nonostante la richiesta di aiuto e le cure urgenti prestate dagli assistenti di volo e del personale medico presente, gli sforzi sono risultati vani e l’uomo è deceduto. Un medico a bordo ha constatato la morte di Hanna Saka, consigliando il pilota di avviare le procedure per un atterraggio di emergenza nello scalo della capitale polacca. (…)
Di recente il patriarca caldeo, il card. Louis Raphael Sako, era tornato sul tema dell’emigrazione, rilanciando il pericolo di una riduzione progressiva della componente cristiana in Iraq a fronte di un esodo massiccio, per arginare il quale il porporato propone una “unità di crisi”. Nel Paese”non vi è strategia, sicurezza o stabilità economica”, manca la “sovranità” e vi è una “duplice” applicazione dei concetti di democrazia, libertà, costituzione, diritto e cittadinanza da parte di chi dovrebbe essere al servizio della nazione e dei suoi abitanti. In questo modo si sono “indebolite” le istituzioni e si è registrato un “declino” nella morale e nei valori, sono peggiorati servizi, sanità e istruzione, oltre a una “diffusa corruzione” e una “crescente disoccupazione” unite ad analfabetismo di ritorno.
In questo quadro la componente cristiana, già ai margini, è diventata ancora più fragile ed è stata oggetto di rapimenti, uccisioni iniziate nel 2003 con l’invasione Usa e culminate negli anni di dominio dello Stato islamico (Isis), con la grande fuga da Mosul e dalla piana di Ninive. L’emergenza è confermata dai numeri, come rivela lo stesso patriarca: negli ultimi 20 anni oltre un milione di cristiani (su un totale di meno di 1,5 milioni) sono fuggiti. Solo nelle ultime settimane “oltre 100 famiglie hanno lasciato Qaraqosh e sono emigrate”, andando ad aggiungersi a “decine di famiglie da altre città” fuggite per il futuro incerto e mesi di stipendi non pagati.
(AsiaNews09/03/2024)