2024 02 21 TURCHIA - Aumentano i cristiani iraniani ‘vittime senza volto’ degli ayatollah

HAITI - Esplosione a Port-au-Prince, ferito il vescovo Pierre André Dumas
TURCHIA - Aumentano i cristiani iraniani ‘vittime senza volto’ degli ayatollah
TESTIMONIANZA: UCRAINA - l’arcivescovo di Leopoli: combattiamo, non col fucile ma con il Rosario
Fonte:
CulturaCattolica.it
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HAITI - Esplosione a Port-au-Prince, ferito il vescovo Pierre André Dumas
Le condizioni di monsignor Pierre André Dumas sono giudicate stabili. L’isola continua ad essere ostaggio della violenza

Un vescovo è rimasto ferito in una esplosione a Port-au-Prince. Secondo la Conferenza episcopale di Haiti “monsignor Pierre André Dumas, vescovo di Anse-à-Veau e Miragoâne, è stato colpito da un’esplosione a Port-au-Prince’’. Nella dichiarazione, firmata da padre Jean Rodney Brévil, vice segretario permanente della Ceh, si spiega che ‘‘lo stato di salute di monsignor Dumas è stabile’’.

L’isola continua ad essere ostaggio della violenza della gang. Ieri un gruppo armato ha assaltato un minibus per il trasporto di passeggeri in servizio fra Port-au-Prince e Mirebalais, con un bilancio di dieci morti, fra cui l’autista del veicolo, e un numero imprecisato di feriti ricoverati in ospedale. Il portale di notizie HaitiLibre ha indicato che l’attacco è avvenuto ieri nella località Morne à Cabrit da parte di membri della banda “400 Mawozo” che hanno intimato al conducente dell’automezzo di fermarsi, senza però essere ascoltati. Al riguardo, l’Associazione haitiana di proprietari e autisti ha reso noto che il veicolo, riconosciuto con il nome di “3 Racin-Mapou”, era pieno di passeggeri, e che la sparatoria ed il relativo massacro sono avvenuti nei pressi del locale commissariato di polizia.
(Avvenire Redazione Esteri martedì 20 febbraio 2024)

TURCHIA - Aumentano i cristiani iraniani ‘vittime senza volto’ degli ayatollah
Spesso le vittime non denunciano per il timore di ulteriori vessazioni. Nel 2023 almeno 166 arresti, ma solo una minima parte sono stati resi pubblici. Pressioni e repressioni continuano anche dopo il rilascio. In Turchia un cristiano iraniano fuggito nel 2013 rischia l’espulsione e, in caso di rimpatrio, il carcere.

In Iran aumentano i cristiani “vittime senza volto” di arresti e violazioni alla libertà religiosa perpetrati dalla Repubblica islamica, spesso per “paura” che la pubblicizzazione del proprio caso possa determinare sofferenze ancora peggiori. È quanto denuncia Article18, sito specializzato nel documentare le repressioni di Teheran contro le minoranze religiose, soprattutto cristiana, nel rapporto annuale intitolato “Vittime senza volto: violazioni dei diritti contro i cristiani in Iran” pubblicato oggi. Lo studio è stato realizzato con la collaborazione di altre ong di primo piano fra cui Open Doors, Christian Solidarity Worldwide (Csw) e Middle East Concern. A fronte di un aumento mimino di cristiani arrestati “pari a 166 nel 2023 rispetto ai 134 del 2022” sono sempre più, sottolineano gli autori del documento, quelli “privi di nome e di un volto” che finiscono nel mirino della giustizia.

Il rapporto diffuso oggi conferma che in Iran è in atto una “netta regressione” della situazione in tema di libertà religiosa, in linea con la crescente repressione delle autorità legata alle proteste divampate in seguito alla morte di Mahsa Amini per mano della polizia della morale. Un dato emerso anche nel rapporto 2023 della US Commission on International Religious Freedom, pubblicato nel maggio scorso, che invita a riclassificare la Repubblica islamica come “nazione di particolare preoccupazione (Cpc)” per le sue “violazioni sistematiche ed eclatanti”.

La data di rilascio, il 19 febbraio, coincide con l’uccisione del reverendo Arastoo Sayyah, assassinato nel suo ufficio a otto giorni dalla Rivoluzione islamica del 1979, primo di una lunga serie di eventi sanguinosi contro i cristiani, in particolare i convertiti, che continua ancora oggi. Nel 2023, si legge nello studio, si sono verificate “ondate di arresti” ma di queste solo “una manciata sono state segnalate prima di giugno”, poi “oltre 100 nei tre mesi successivi prima di un’ulteriore ondata a Natale”. “Tuttavia, pochissimi degli arrestati - prosegue il rapporto - hanno accettato di rendere pubblici i casi, il che ha portato a un numero crescente di vittime senza volto”. “Alla fine del 2023, almeno 17 dei cristiani arrestati durante l’estate avevano ricevuto pene detentive tra i tre mesi e i cinque anni o punizioni non detentive come multe, fustigazioni e, in un caso, l’obbligo di scavare tombe”. Ma solo due degli arrestati in l’estate sono stati identificati: si tratta di due armeni, Elisa Shahverdian e suo marito Hakop Gochumyan, quest’ultimo tuttora rinchiuso a Evin.

Un’altra tendenza del 2023 è la repressione di quanti distribuiscono Bibbie, viste che “oltre un terzo degli arresti” riguarda persone “in possesso di più copie”. Nel frattempo, almeno nove cristiani sono stati graziati e rilasciati dal carcere, sebbene “la maggior parte di essi” fosse già quasi a fine pena, con condanne dovute alla “pratica pacifica della loro fede” e che “quindi non avrebbe dovuto nemmeno essere emessa in primo luogo”. Il rapporto include anche una sezione sugli abusi specifici del Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr) ai danni della comunità cristiana iraniana, con almeno 11 tipologie di violazioni: libertà di religione o di credo, opinione ed espressione, libertà di riunione pacifica e protezione dall’arresto arbitrario, detenzione e tortura.

Il rapporto contiene infine una sezione speciale di analisi che spiega come le pressioni sulle persone e sulle loro famiglie continuino anche dopo il rilascio dal carcere, con monitoraggio continuo e molestie, negazione di lavoro o istruzione, nuove accuse e riaperture di casi archiviati. Sono tutti esempi, spiegano le ong attiviste, di come Teheran possa rendere “sempre più difficile per i cristiani rimanere in Iran”. “Molti fuggono - conclude il rapporto - solo per trovare una nuova serie di sfide ad attenderli come rifugiati, come mostrato nel documento 2023 sulla situazione dei cristiani iraniani che chiedono protezione internazionale in Turchia”.

Sugli abusi e le minacce ai danni dei cristiani emigrati in Turchia prova ne è quanto sta avvenendo in questi giorni al 56enne Mojtaba Keshavarz Ahmadi, migrato nel 2013 dall’Iran alla Turchia per sfuggire al carcere. E che oggi rischia di essere deportato dalle autorità di Ankara nella patria di origine, vittima di una nuova repressione. Fonti locali riferiscono che le autorità per l’immigrazione turche ne hanno disposto l’arresto il 29 gennaio scorso e lo hanno trasferito in un centro di detenzione nell’ovest del Paese dove risulta tuttora in custodia. Mojtaba è stato accusato di aver lasciato la sua città di residenza, Düzce, vicino Istanbul, senza autorizzazione, addebito che egli respinge con forza al mittente e per il quale le autorità turche non hanno fornito prove. Ora è detenuto nel centro di Ayvacik Geri Gönderme Merkezi, a quasi sei ore da Düzce, e gli è stata confiscata la carta d’identità, in attesa di espulsione e rimpatrio nonostante viva in Turchia in modo stabile da un decennio e abbia fatto richiesta - mai esaminata - per lo status di rifugiato. In caso di rientro, a suo carico pende una condanna a tre anni per pratica della fede cristiana.
(AsiaNews 19/02/2024)

TESTIMONIANZA

UCRAINA - L’arcivescovo di Leopoli: combattiamo, non col fucile ma con il Rosario
A due anni dall’inizio della guerra, il metropolita Mokrzycki racconta l’orrore che continua a subire il Paese: “Piovono missili e droni su persone e città. Innocenti vengono uccisi e molte persone, anche bambini e sacerdoti, cadono nella disperazione o nella malattia mentale”. Tuttavia, afferma, “la gente ha ancora forza e speranza. Vede che l’unica salvezza è in Dio e che solo un miracolo può salvare l’Ucraina”

“Ciò che mi dà forza, speranza e fede è che vedo che la Divina Provvidenza non ci abbandona e c’è tanta fede nelle persone”. A due anni dallo scoppio del conflitto, l’arcivescovo Mieczyslaw Mokrzycki, metropolita di Leopoli, condivide in una intervista con Radio Vaticana - Vatican News condivide i suoi sentimenti, sottolineando come in questo tempo buio tutta l’Ucraina è avvolta da una catena di preghiera. “Siamo combattenti di Dio, non con il fucile, ma con il rosario. Non sul campo di battaglia, ma in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento”.

Eccellenza, anche a Leopoli continuano a suonare le sirene e la città viene bombardata. Quale riflessione le scaturisce nel cuore in vista del secondo anniversario della guerra su vasta scala in Ucraina?

Tra le tante parole riportate sulle pagine dei Vangeli, mi ha colpito un’affermazione di Gesù: “Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto”. Queste parole sono per noi la voce della verità, che ci permette di giudicare la condotta delle persone che, seguendo il male, diventano frutti amari per gli altri. E anche se dicono di voler difendere e liberare, vediamo che non è così. Invece della pace, generano guerra. Invece dell’amore generano odio. Invece della tranquillità, generano la paura. Questo è il loro frutto, amaro e aspro. Ci addolora il fatto che, dopo poche decine di anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale, di nuovo dobbiamo difendere la nostra libertà e riflettere su come l’essere umano non è in grado o non può ricordare gli orrori che quella guerra aveva lasciato dietro di sé. Noi invece ricordiamo perfettamente: la maggior parte solo dalla storia, ma ci sono persone che ricordano quel periodo come esperienza personale.

Purtroppo la guerra è diventata l’esperienza personale di tutti. Come si svolge attualmente la vita quotidiana?

Purtroppo continuano le attività militari. Piovono missili e droni sulle persone e sulle città. Vengono uccisi soldati e gente innocente. Molte persone vengono ferite, private delle loro case, di mezzi di sussistenza, manca il lavoro. Tutto ciò porta alla paura, all’ansia, all’incertezza. Tanti bambini, adulti e anche sacerdoti cadono nella disperazione, nella depressione e nella malattia mentale. La Chiesa in questa situazione è impegnata ad aiutare tutti. Aiutiamo i soldati che combattono attraverso il servizio del cappellano, organizziamo la distribuzione di alimenti, farmaci, dispositivi e persino l’acquisto di droni. Continuiamo ad accogliere gli sfollati interni, organizziamo gli aiuti umanitari e li mandiamo nelle zone di guerra. Forniamo questo aiuto anche alle famiglie povere delle nostre parrocchie. Organizziamo un’ampia attività pastorale per rafforzare in loro la fede e la speranza.

In questo momento come aiutate le persone ad avere speranza e forza d’animo?

Innanzitutto invitiamo i fedeli a pregare, incoraggiati dalle parole della Lettera di San Giacomo: “Chi tra voi è nel dolore, preghi”. Indubbiamente ci è capitato il dolore della guerra. Ecco perché la richiesta dell’apostolo è per noi una chiamata e un compito. Questo è ciò che possiamo dare oggi ai nostri cari e a tutta l’Ucraina. La nostra preghiera deve essere come l’incenso che ha sempre una sola direzione, dalla terra al cielo. Deve essere il grido di un solo cuore e un solo spirito. Ce lo ha chiesto anche Papa Francesco: “Le preghiere e le suppliche che oggi si innalzano fino al cielo tocchino le menti e i cuori dei responsabili del mondo, affinché mettano il dialogo e il bene di tutti al di sopra degli interessi privati. Per favore, mai più la guerra!”. Questa è l’intenzione delle nostre preghiere, che si unisce alla voce del Santo Padre che si erge in difesa della libertà e della pace. Pertanto, nell’esperienza della sofferenza, la nostra arma nella lotta per la pace è la preghiera. Siamo combattenti di Dio, non con il fucile ma con il Rosario. Non sul campo di battaglia, ma in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento. In questo modo abbracciamo tutto il Paese con una catena di preghiere, in particolare per coloro che, al fronte di questa folle guerra, a nome nostro e per il nostro bene lottano per la libertà della Patria. In questo modo nelle nostre vite portiamo un senso di sicurezza e solidarietà. Oltre alla preghiera, un’altra dimensione che costruisce la speranza e la forza d’animo è la parola buona. Oggi da ogni parte arrivano le notizie che non portano ottimismo, ma molto spesso orrore.
È per questo che da noi sgorgano speranza e consolazione, una buona parola e il sostegno dello spirito. Le parole del Signore Gesù “Portate i pesi gli uni degli altri”, diventano il compito che dobbiamo assumerci, con il quale dobbiamo andare gli uni verso gli altri. Ed ecco la prova per un atteggiamento di amore basato sulle opere. Dobbiamo trovarci in questa realtà. Papa Francesco ci ha detto: “Il misericordioso è colui che sa anche immedesimarsi nei problemi degli altri”. E ancora: “Le opere di carità non siano un modo per sentirsi meglio, ma per partecipare alle sofferenze degli altri, anche a costo di esporsi e di scomodarsi”. In questi momenti difficili, questo è l’atteggiamento che incoraggiamo e che cerchiamo di avere, affinché la gente veda le nostre buone azioni e lodi il Padre che è nei cieli.

Ha portato dei frutti l’atto di affidamento della Russia e dell’Ucraina alla Madre di Dio? Se sì, quali?

Subito dopo l’atto di affidamento della Russia e dell’Ucraina da parte di Papa Francesco in Vaticano, così come nelle nostre parrocchie e diocesi, abbiamo visto che il sabato successivo l’esercito russo si è ritirato da Kyiv. La Madonna di Fatima incoraggiava la preghiera, la penitenza e la conversione. Lo vediamo anche in molti fedeli della nostra Chiesa e di altri riti e denominazioni. La gente vede che l’unica salvezza è in Dio, che solo un miracolo può salvare l’Ucraina. E questi sono i frutti dell’affidamento alla Madre di Dio. Nonostante questa situazione difficile, la gente non perde la speranza. Hanno ancora molta forza e ottimismo. Sanno essere molto solidali e sostenersi a vicenda. In tutto questo, vedono la necessità della preghiera e l’azione della grazia di Dio. I soldati parlano spesso della potenza della preghiera che sperimentano e sono grati a tutti coloro che pregano per loro.

Ma dove trovare la speranza in questo tempo buio?

Ciò che mi dà forza, speranza e fede è il vedere che la Divina Provvidenza non ci abbandona e che c’è tanta fede nelle persone. Un soldato ha raccontato quello che gli è successo al fronte. Ha detto che durante il combattimento hanno finito le munizioni e sapevano che era finita. Non potevano uscire dalle trincee perché sarebbe stata una morte istantanea. Così, dopo un po’, hanno iniziato a salutarsi e hanno visto i soldati russi avvicinarsi a loro. Uno dei soldati ucraini, che sapeva che in quei giorni ci sarebbe stato un funerale per suo zio, morto anche lui in guerra, ha pregato: “Signore Dio, fai qualcosa, perché la mia famiglia non sopravviverà a due funerali”. Il soldato ha raccontato che dopo un po’ i russi si sono fermati, si sono girati e sono tornati indietro. Per lui e per noi è un miracolo tangibile, un segno dell’intervento di Dio. Un altro esempio: il fratello di uno dei miei sacerdoti lavora come medico al fronte e una volta ha confidato a suo fratello: “Tu sai che non sono credente, ma io so che sono ancora vivo solo grazie alle tue preghiere e a quelle dei tuoi colleghi”.

La preghiera diventa una forza?

Nel momento particolarmente difficile in cui si trova l’Ucraina, ci viene di vegliare davanti alla croce di nostro Signore Gesù Cristo. Oggi, quando la guerra è diventata realtà, abbiamo ancora più bisogno di abbracciare la Croce e di rimanere legati a questo segno di amore e di salvezza, segno della vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio, della verità sulla menzogna, dell’umiltà sull’egoismo. In questo momento difficile, l’Ucraina ha anche bisogno che la solidarietà e il buon cuore continuino.

Quanto è importante continuare ad essere solidali con la sofferente Ucraina?

Mi sia permesso a questo punto di esprimere la mia gratitudine a tutti i sacerdoti, alle persone consacrate e ai fedeli della Chiesa in Ucraina e all’estero, specialmente in Polonia, per il loro bell’atteggiamento di amore. Questo atteggiamento è il Vangelo vivente della buona azione. È stata la Polonia a mostrare al mondo il volto divino dell’amore. L’atteggiamento dei polacchi ha sorpreso gli ucraini e sono consapevoli di quale grande cuore abbiano mostrato loro, mostrando la loro vera umanità e cristianità. Infine, vorrei anche chiedere di non perdere questo volto divino dell’amore. Ne avremo bisogno ancora a lungo, anche quando arriverà la tanto agognata pace.
(RV 2024 02 19)