2023 10 18 Medio Oriente devastato dall’odio: per che pace pregare?

Vi do la mia pace
Di fronte ad un odio che si alimenta di ragioni dall’una e dall’altra parte può nascere solo una finta pace momentanea, frutto di un risentimento che per un istante si placa ma è sempre pronto a esplodere di nuovo.
Per quale “pace” allora pregare?
Per quella che solo Dio porta nella Sua morte che paga il nostro peccato.
Dio è all’opera e costruisce ogni giorno questa pace. Il suo nome è Chiesa.
L’unica possibilità per il Medio Oriente è che non venga meno la presenza dei cristiani, del Corpo di Cristo nella storia.
Ebrei e Islam non conoscono questa pace perché la possibilità che permette di perdonare colui che mi fa del male è data solo da Colui che ha pagato il male, che mi invita a perdonare perché il prezzo dovuto al torto che mi è stato fatto è stato pagato. La morte di Cristo in croce è la giustizia che ogni offeso vorrebbe dal suo nemico. Questa è la Misericordia.
Tutte le chiese del mondo devono sostenere con ogni mezzo la presenza dei cristiani, della Chiesa, del Corpo di Cristo nel luogo dove il cristianesimo è nato, ponendosi come pietra di inciampo ai contendenti.
La lettera pubblicata da Asia News questo testimonia.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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‘Noi carmelitane di Gerusalemme in preghiera con questi due popoli in conflitto’
Lettera delle Carmelitane del Monastero del Padre Nostro

Dalla loro clausura sul Monte degli Ulivi la testimonianza delle monache che vivono in quello che secondo una tradizione cristiana antichissima è il luogo dove Gesù insegnò il Padre Nostro.
Gerusalemme (AsiaNews17/10/2023)

Nostra Signora del Rosario: durante l’Ufficio delle Lodi e l’Eucaristia di sabato mattina, 7 ottobre, l’allarme ha suonato quasi ininterrottamente su Gerusalemme... fino a mezzogiorno circa. I suoni ovattati dei razzi distrutti dall’Iron Dome ci hanno fatto capire che si trattava di un attacco. La sorpresa è stata totale. Era un evento grave e sorprendente: un attacco a Gerusalemme.
Nell’ultimo giorno della festa ebraica di Sukkot, i canti gioiosi della festa hanno improvvisamente lasciato il posto ai suoni della guerra. Allarmi più rari sono risuonati nei giorni successivi: in quei momenti, ciascuna è rimasta al proprio posto, immobile, in silenzio, pregando e aspettando.
Gerusalemme si è fermata, come in un lungo shabbat: negozi chiusi, scuole chiuse, turisti e pellegrini improvvisamente spariti, poca gente per le strade, si sentiva il rumore ovattato degli aerei militari che entravano e uscivano dalla Striscia di Gaza, compiendo pesanti rappresaglie. La nostra città è “protetta” da numerosi check-point contro il “nemico” che si è riversato in Israele e contro quanto vorrebbero unirsi a loro.
I Territori palestinesi sono isolati, nessuno può entrare o uscire, molti lavoratori sono gravemente penalizzati per non poter venire al loro lavoro quotidiano da Betlemme o da Gerico...
Il governo dei palestinesi di Gaza ha compiuto un terribile attacco contro gli ebrei che vivono nei pressi del loro territorio, e i palestinesi di altre zone potrebbero o stanno cercando di fare lo stesso: quando cala la notte nel nostro quartiere palestinese, sentiamo manifestazioni e spari da oltre le nostre mura... Non è la prima volta. Ma l’esperienza di quest’anno ci ha regalato dei candelotti di gas lacrimogeno, non avevamo mai visto prima queste piccole granate che raccogliamo al mattino nel chiostro e nel giardino: e la nostra conoscenza si sta allargando, dopo le cartucce interi petardi, i bossoli di proiettili e l’acqua puzzolente...
Abbiamo appreso degli attacchi alle comunità ebraiche nei pressi della Striscia di Gaza, con gli inimmaginabili omicidi, i feriti, gli ostaggi e i troppi morti... e siamo altrettanto pieni di compassione per gli abitanti della Striscia di Gaza sottoposti a intensi bombardamenti, al blocco e all’esodo di massa. Il nostro cuore è con la piccola comunità cristiana che si rifugia nella scuola e nella chiesa, con le sue poche suore e i suoi seminaristi, e anche alcuni musulmani.
Tuttavia, ci stiamo ancora preparando per la celebrazione della Madre di questa domenica (la festa di santa Teresa d’Avila celebrata ieri ndr), con il 150° anniversario della nostra fondazione. Il monastero e le sue suore hanno attraversato molti periodi di ostilità e hanno vissuto sotto diverse autorità, ottomane, giordane, britanniche... Oggi queste autorità sono israeliane, anche se il nostro quartiere della Città Vecchia e del Monte degli Ulivi, con la sua popolazione palestinese, rimane la zona “contesa, occupata, annessa” di Gerusalemme est.
Anche i nostri carmeli di Betlemme, Nazareth e Haifa sono sotto attacco dalla Striscia di Gaza, e ora anche dal Libano meridionale, che si trova di fronte e molto vicino al Monte Carmelo. Siamo solidali… Le ambasciate ci propongono dei rimpatri, ma naturalmente non si tratta di andarsene!
Viviamo con i popoli della Terra Santa, con i loro alti e bassi, nel nostro piccolo, preghiamo per la pace e la giustizia di oggi e di domani. Questa guerra dimostra che i muri e altri vincoli o sorveglianze sono inutili a lungo termine. Solo la giustizia e il rispetto possono portare a una pace, difficile ma duratura. Ogni giorno siamo in grado di coglierne i semi attraverso persone straordinarie, sia ebree sia palestinesi.
Per il nostro monastero è il momento della raccolta delle olive, un momento faticoso ma sereno e gioioso; la preghiera è all’ordine del giorno; la tensione è palpabile. Grazie a tutto l’Ordine per la comunione di preghiera per quanti soffrono e per quanti hanno il compito di decidere. E anche per coloro che combattono da entrambe le parti: che possano rimanere umani...
Per i cristiani di Terra Santa, martedì 17 ottobre sarà un giorno di digiuno e di preghiera per la riconciliazione “perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace” (1 Cor 14, 33). Vi invitiamo, fratelli e sorelle, a unirvi a noi nella preghiera affinché il Signore ci conceda davvero la sua pace!

In realtà il tentativo di estirpare i cristiani è in pieno svolgimento, come insegna la vicenda dei fratelli Armeni

ARMENIA-AZERBAIGIAN - La dura condizione dei profughi armeni del Karabakh

Nonostante le misure stanziate dal governo di Erevan per le decine di migliaia di esuli scappati dall’area a maggioranza armena presa militarmente da Baku, molte persone non hanno tuttora un posto dove dormire e sono costretti a passare la notte a cielo aperto. Nessuno si fida delle promesse degli azeri che già nell’altra provincia contesa del Nakhicevan hanno cancellato ogni traccia delle radici cristiane.

Nonostante tutti gli sforzi del governo di Erevan, la popolazione fuggita dal Nagorno Karabakh ormai ceduto all’Azerbaigian si trova in una situazione molto difficile. Da pochi giorni le autorità dell’Armenia hanno cominciato a erogare i sussidi nella misura di 100mila dracme armene (circa 235 euro ndr), e al centro di raccolta di Parakar i profughi cercano di capire quando e in che forma riceveranno questa somma.

Uno di essi, Karo Ovseljan proveniente dalla cittadina di Martuni, interrogato dai giornalisti di Azatutyun, racconta che “finora non abbiamo visto alcun tipo di aiuto, proprio niente”. Come confermano molti altri, il sostegno per il momento viene soltanto dai parenti lontani e dai pochi conoscenti, e anche da persone generose di propria iniziativa. A Parakar cominciano però ad arrivare almeno letti e coperte.

Il primo ministro Nikol Pasinyan ha comunicato sulla sua pagina Facebook che “le 100mila drame promesse sono state trasferite a circa 50mila tra i nostri fratelli e sorelle che sono stati evacuati a forza dal Nagorno Karabakh, almeno a quelli che al momento del trasferimento avevano a disposizione una carta di credito”. Egli ha anche sottolineato che agli invalidi di prima e seconda categoria, e agli anziani sopra i 75 anni, i soldi verranno consegnati in contanti.

La portavoce del governo, Nazeli Bagdasaryan, ha spiegato che le procedure per la distribuzione degli aiuti diventeranno più efficaci nei prossimi giorni, soprattutto se coloro che non hanno titoli di credito si recheranno in banca per aprire un conto, che verrà registrato senza alcun costo. Secondo le sue parole, “al momento stiamo incrociando i dati, e mano a mano che completiamo le schede si procede al trasferimento dei soldi”, tenendo conto anche dei tempi necessari alle banche per l’invio dei bonifici.

Si attende anche la conferma di un altro provvedimento governativo, per cui ai profughi che non hanno alcuna residenza di riferimento in Armenia verranno inviate mensilmente 50mila drame per pagare l’affitto e i servizi comunali. Lo Stato armeno ha concesso un alloggio provvisorio a circa metà dei 100mila emigranti forzati, la maggior parte dei quali è suddiviso nelle varie regioni e non solo nella zona di raccolta, dove i centri di assistenza stanno lavorando a regime durissimo, con grande affanno.

I corrispondenti hanno incontrato molte persone che non hanno finora un posto dove dormire, e sono costretti a passare la notte a cielo aperto. Come racconta Elmira Nersisyan, “io e mia figlia ci siamo sistemati in un angolo riparato accanto alla porta della chiesa, non abbiamo parenti o amici in Armenia... ci hanno mandati qui, e continuiamo ad aspettare, finché qualcuno verrà a prenderci e darci una qualche sistemazione”. Elmira ha 74 anni, e la figlia è invalida; sono scappati subito da Stepanakert, e ha saputo del centro di raccolta per caso, mentre vagava per le strade, “ma spero di trovare un lavoro e riuscire a cavarmela”, assicura con spirito fiero.

Anche il pensionato Jasha Movsisyan è da solo, e dopo essere scappato dal villaggio di Nogarjukh della provincia di Askeran è riuscito ad arrivare fino a Erevan, dove ha ritrovato una nipote che gli ha concesso cibo e ospitalità, ma anche lui afferma di “non essere abituato a vivere a spese degli altri”. La sistemazione è difficile per tutti, ma gli esuli del Nagorno Karabakh cercano di non abbattersi, e guardano al futuro con ottimismo.

L’esito fallimentare del lunghissimo conflitto con l’Azerbaigian era in fondo atteso da tempo, e la maggior parte degli abitanti della regione aveva comunque deciso di andarsene, non fidandosi delle promesse degli azeri. A tutti è nota la politica di cancellazione delle tradizioni e della religione cristiana nelle terre occupate da Baku, come già avvenuto nell’altra provincia a lungo contesa del Nakhicevan, dove di 83 chiese armene se ne sono salvate soltanto un paio.
(AsiaNews11/10/2023 di Vladimir Rozanskij)

Nagorno-Karabakh, la preoccupazione del Papa per sfollati e luoghi di culto

All’Angelus il Papa rivolge il suo pensiero per gli sfollati nella regione, auspicando che tutti gli abitanti possano essere tutelati come parte della cultura locale, e lancia un appello per la salvaguardia dei monasteri.
Papa Francesco ha manifestato la sua apprensione “per la situazione umanitaria degli sfollati, che è grave”. Sono migliaia gli armeni sfollati, costretti a lasciare le loro case dopo che il 19 settembre scorso l’Azerbaigian ha ripreso il controllo del territorio, facendo venir meno il governo separatista.

Il Papa ha inoltre chiesto che si tutelino comunità religiose e luoghi sacri.

“Vorrei rivolgere anche un particolare appello in favore della protezione dei Monasteri e dei luoghi di culto della regione. Auspico che a partire dalle autorità e da tutti gli abitanti possano essere rispettati e tutelati come parte della cultura locale, espressioni di fede e segno di una fraternità che rende capaci di vivere insieme nelle differenze”.

Oltre centomila i profughi in Armenia
In Armenia, sono più di 100mila i profughi giunti dal Nagorno-Karabakh nelle ultime settimane, praticamente l’intera popolazione della regione. Yerevan ha facilitato l’ingresso degli sfollati all’interno dei propri confini, ma la gestione dell’imponente flusso è estremamente complessa. Gayané Khodaveerdi, segretaria dell’Unione degli Armeni e presidente dell’Armenian General Benevolent Union di Milano spiega a Vatican News - Radio Vaticana che “i profughi sono stati sistemati non solo nella capitale Yerevan, ma anche in paesi e villaggi, chi aveva parenti in Armenia si è fatto ospitare da loro, mentre gli altri sono stati sistemati temporaneamente in scuole o palestre. Si sta cercando di rimettere in condizioni abitative accettabili anche dei vecchi palazzi, ma ci vorrà tempo”.

Le necessità dei rifugiati
“Terminata la fase iniziale dell’emergenza, l’importante è ora trovare ai profughi soluzioni abitative che non siano temporanee – continua Khodaveerdi – e per fare questo serve una grandissima organizzazione. C’è ancora bisogno di fondi affinché queste persone possano avere una vita dignitosa”. Un altro punto importante, spiega l’attivista armena, è quello relativo alla salute mentale: “La maggior parte di queste persone sono traumatizzate. Sono state sotto assedio per più di 9 mesi, avendo un accesso incostante e parziale a cibo, assistenza sanitaria ed energia elettrica. Successivamente sono state bombardate ed espulse dalle loro terre ancestrali”. Una delle maggiori difficoltà per le persone arrivate in Armenia è quella di fare i conti con il radicale cambiamento che subirà la loro vita, considerando che ben pochi nutrono speranze di tornare alle loro case. “Molti di loro sono spaesati, non sanno non sanno come continuare con la propria vita. Non tutti hanno la possibilità di appoggiarsi a delle famiglie e ai propri cari e devono inventarsi una nuova vita altrove da soli (…) (RV 2023 10 15)